Thursday 17 December 2015

La pace è la virtù dei...

In questi ultimi mesi e settimane si è cominciato a parlare ancora tanto della necessità della guerra. I media ci stanno ipnotizzando a credere l’assurdo, ovvero che l’unica soluzione sia andare a bombardare.

Purtroppo, la verità è che ci hanno dato la soluzione senza prima averci spiegato bene il problema.

Il problema non è “se non ti ammazzo io per primo, allora mi ammazzerai tu”. Se anche lo fosse, non sono sicuro che abbiamo i termini per giustificare una legittima difesa. Il problema, credo, è che i nostri politici ci stanno dicendo bugie su quello che interessa a loro, e a chi li sostiene. O – perlomeno – non ci stanno dicendo tutta la verità. Ci dicono che l’ISIS è diventata troppo potente. Ma chi ha comprato da loro il petrolio, fino all’altro giorno? Chi ha venduto loro le armi? Chi ha fatto finta di niente, quando ancora si poteva intervenire? E chi e cosa stiamo bombardando, davvero? Mi ha sempre fatto pensare il fatto che in arabo non esiste una traduzione per l’espressione “bombe intelligenti”: è una balla mediatica alla quale crediamo solo noi occidentali che siamo nati troppo tardi per aver sperimentato una guerra. Chi ha vissuto la guerra, sa che le bombe ammazzano tutti, civili compresi.

Come Italia e come Europa, ci sentiamo minacciati. E rispondiamo con la forza. Ma sta la nostra forza nelle armi o nella pace?
Il Dio che nascendo si fa bambino ci insegna una via opposta alla logica umana che ci affascina tanto. Lui ci insegna che la pace è la virtù dei piccoli, che noi consideriamo deboli, ma in realtà sono forti. I veri deboli sono quelli che hanno bisogno di alzare la voce, mostrare i muscoli e “farsi” forti. Chi invece la forza vera ce l’ha dentro, non ha paura di guardare in faccia il suo nemico, da vicino, e parlargli. Molto più comodo bombardarlo da lontano, dirà qualcuno. Ma non è certo questa la via cristiana.



Il mio augurio per questo natale e anche per l’anno nuovo è che impariamo dal bambino di Betlemme, l’onnipotente che si è mostrato onnipotente nella sua piccolezza, nel freddo e nello sporco di un bambino nato sulla via dell’esilio. Lui ha cambiato il mondo. Le nostre bombe e la nostra violenza “giustificata” non portano a nulla di nuovo.

Tuesday 1 December 2015

La gioia ci abita (Lc 2:1-20)

(Ormegiovani, dic 2015)

Dopo anni di attesa, finalmente scrivo dal Sudan, la “terra promessa”!!!!!

Sono qui da tre settimane. Per me sono settimane di grande entusiasmo, visto che sono tornato in una terra tanto amata da Comboni e tanto cara anche a me. Come disse San Daniele Comboni nella sua famosissima omelia di Khartum, tornando qui ritrovo il mio cuore, mi sento a casa. C’é un senso di appartenenza a questa terra che difficilmente riesco a descrivere e sicuramente non riesco a spiegare; forse é un innamoramento.
Nel suo famosissimo libro “Il profeta”, Gibran scrisse che quando amiamo non dovremmo dire che abbiamo Dio nel cuore, ma piuttosto che siamo noi ad essere nel cuore di Dio. Dio diventa cosi’ la nostra casa, la nostra terra, la nostra dimora. In un modo simile,  anche la bibbia chiama numerose volte Dio come “la porzione di terra” di chi lo serve.  C'è un senso di appartenenza al contrario, quando si parla del regno di Dio: non è lui che appartiene a noi,  ma noi che apparteniamo a lui.

L'illusione degli imperatorucci
I grandi della terra questo non lo capiscono. Augusto imperatore che ordina il censimento degli abitanti del suo impero si inserisce in un’infelice tradizione di potenti maledetti dalla loro stessa cieca logica di potere. Contare i figli è peccato in molte antropologie africane, perché la vita è dono di Dio,  e contare i figli - o la gente - è come voler misurare la generosità e la sapienza di chi ce li ha donati. Un peccato di superbia, una riedizione del primo peccato,  in cui l'uomo e la donna si son messi a sostituire Dio.
Agli occhi di Dio, questi scimmiottamenti dei potenti sono ridicoli (v. salmo 2), perché sono pateticamente illusori.
Purtroppo, questo stesso atteggiamento lo assumiamo noi tutti, compresi io che sto scrivendo e tu che stai leggendo. Non solo ogni volta che pensiamo al mondo come ad una partita di Risiko o di Monopoli, ma ancor di più ogni volta che ci arroghiamo il diritto di avere soluzioni in tasca (chissà come mai, ma abbiamo sempre soluzioni semplici a problemi complessi,  e non ci sorprende il fatto che siamo gli unici ad avere tali illuminazioni). Ci pensiamo grandi e onnipotenti, onniscenti, quando invece facciamo fatica a capire e governare quello che ci portiamo nel cuore. L'arroganza di chi comanda o crede di comandare è superata solo da l'ingenuità di chi vorrebbe comandare e cambiare la storia a suo piacimento.

L'accoglienza dei semplici
Chi guarda la storia dalla periferia, invece, ha molte meno pretese, e ci vede meglio. I pastori di Betlemme vedono molto più in là del loro naso quando l'angelo porta loro la buona notizia. La buona notizia non è solo per loro, ma per tutti. Infatti l’angelo della notte di natale proclama: “Vi annuncio una grande gioia, che sara’ di tutto il popolo”. C'è qualcosa di profondo in questa nota dell'annuncio natalizio: la gioia non è tale se non é condivisa. È categoricamente impossibile la gioia da soli. Questo i potenti e chi vorrebbe essere come loro non riescono mai a capirlo. Da una parte il giovane ricco che cerca di “possedere” la vita eterna, Davide che mentre i suoi soldati lottano se ne sta solo e ozioso nel suo palazzo, il figlio prodigo che cerca di farsi la “sua” vita con i “suoi” beni, la samaritana che se ne va al pozzo quando nessuno dovrebbe incontrarla, etc.; dall'altra parte, invece, i poveri in spirito che accolgono la buona novella: il ladrone che si accontenta di una parola di bontà, Abramo che si abbandona alla promessa di una voce misteriosa nella notte, Maria che si lascia trasformare da un messaggio bizzarro. Poveraccio è chi cerca la propria felicità nei suoi piani; povero in spirito è chi si lascia sorpendere e sprogrammare dallo sconosciuto.

La casa della gioia
A coronare la storia della natività troviamo Maria, che conserva e medita tutte quelle cose nel suo cuore. Lei che è stata per nove mesi l'arca della nuova alleanza nel suo corpo, continua la sua missione conservando il miracolo del dio-uomo nel suo cuore. La sua accoglienza della presenza di Dio ricorda tanto quella dei pastori che si sono precipitati a Betlemme per vedere l'accaduto, ma è ancor più profonda. Il silenzio non le si impone: è lei stessa a sceglierlo. Il silenzio, non accade, non “si osserva” come se fosse un incidente: lo si sceglie, lo si celebra. Davanti alla Parola fatta carne, Maria non se la sente di aggiungere altro.




Personalmente, in queste mie primissime settimane in Sudan mi colpiscono la calma e il silenzio della gente. Verrebbe quasi da dire che più che in altri Paesi qui l'incontro è fatto più di sguardi e strette di mano e un po’ meno di parole. La presenza è in sé il messaggio, e il silenzio ne potenzia la capacità di ascolto. Il silenzio diventa segno di profondita’ e dignita’, piu’ di tante altre parole, che lasciano il tempo che trovano.

Mentre ci avviciniamo alla festa dell’incarnazione dell’uomo-dio, il mio augurio é che impariamo tutti ad ascoltare un po’ di piu’, e a fare spazio a quell’unica Parola che cambia il mondo. La parola creatrice che ci trasforma, perché per la prima volta ci mette a nudo con noi stessi. Auguro a tutti, allora, e a me stesso per primo, di imparare a riempire il nostro silenzio d’ascolto con il sorriso dell’accoglienza, e della speranza. Quello stesso sorriso che incontro in tante, tantissime persone in questo Paese amato. Lo stesso sorriso della madre che accoglie fra le sue braccia il figlio appena nato.