Sunday 13 February 2011

Piazza dei Miracoli


La settimana fra il 5 e l’11 febbraio è stata una settimana carica di una stranezza davvero bella. La stranezza di un seme che a fatica si fa strada nella terra e porta un filo di verde a germogliare. La stranezza di quell’ultima goccia che rompe la lastra di marmo.

Dopo il “venerdì della partenza”, il 6 febbraio si celebra il “giorno della solidarietà”. Qui in Egitto la protesta si mette per un giorno in stand-by, mentre a dire il vero è il mondo che fa “stands by”, sta vicino, all’Egitto. Da ogni angolo del mondo egiziani della diaspora e altri uomini e donne scendono in piazza per fare coraggio ai manifestanti dell’Egitto.

Domenica 7 è il “giorno dei martiri”. Si fa memoria di chi ha perso la vita negli scontri con la polizia e nelle due notti di sassaiola in piazza Tahrir. In tarda mattinata anche i Cristiani pregano in piazza Tahrir per pregare, come il venerdì precedente avevano fatto i musulmani. La croce e il corano sono i due simboli di un Egitto che accetta la pluralità di fedi. Il popolo di piazza Tahrir è un popolo che non si spaventa delle diversità. È festa.

C’è chi decide di scendere in piazza Tahrir per celebrare matrimoni, per far festa. Ormai il popolo della piazza non è una massa indistinta di gente, ma un movimento con una sua identità, con un progetto. E da questo nasce qualcosa che, personalmente, non mi aspettavo.

Credevo che alla lunga sarebbe stato il faraone a vincere il braccio di ferro, mentre invece il passare dei giorni fa vedere che il movimento non perde vigore, ma anzi ne guadagna. Lunedì, martedì, mercoledì, giovedì: lo sciopero generale si fa via via più forte, più convinto. Il ricordo delle sassaiole, degli scontri con la polizia, delle cariche di gente inferocita e armata sembrano cose lontanissime.

Giovedì sembra essere il giorno finale. Viene annunciato che nella sera il presidente farà un discorso. Voci da Aljazeera e dalla CNN dicono che probabilmente si sta dimettendo. Poco prima delle undici, il faraone fa il suo discorso…
Carico di arroganza, peggio ancora di quello che aveva detto una settimana prima. Parla di se stesso come se avesse combattuto lui da solo la guerra del Sinai nel 73. “Abbiamo fatto sempre quello che ritenevamo giusto, e non c’è nessuno che possa venirci a dire cosa fare”. Incredibile.
Quello che è ancora più incredibile, non solo per me, è il miracolo della reazione non violenta della gente. C’è tantissima rabbia nelle piazze quella notte fra giovedì e venerdì, eppure la gente se ne torna a casa. Molti rimangono in piazza Tahrir: non si vogliono fermare ora!!

Venerdì 11 dopo la preghiera di mezzogiorno si riversano sulle strade tantissime persone. Il clima è di festa. In piazza fra le tende si legge “il mio indirizzo è piazza Tahrir, finchè non se ne va”. Io e alcuni miei confratelli andiamo pure in piazza Tahrir. La calca è talmente forte che l’esercito non ce la fa a controllare tutti quelli che entrano, così l’organizzazione della protesta si è auto organizzata per controllare che chi entra non abbia con se coltelli o armi. Tre cordoni di uomini perquisiscono chiunque entri da qualsiasi strada. In piazza ci si muove a stento. Il clima è un mix stranissimo di rabbia e speranza. Difficile dire quanti siamo in piazza, ma a colpo d’occhio mai nei precedenti 17 giorni tanta gente era scesa in strada. Diverse centinaia di migliaia di persone si affollano dentro e attorno piazza Tahrir, mentre un altro fiume di gente si dirige verso il palazzo presidenziale, dove in mattinata l’esercito ha rinforzato la sua cinta di protezione…

La sera alle 5 gli eventi prendono una nuova piega: viene annunciato che il presidente ha lasciato il palazzo e che presto dal palazzo stesso verrà rilasciato un nuovo comunicato. Alle 5.55 Aljazeera fa sapere che il segretario del Partito Nazionale si è dimesso. Alle 6 in punto la tv di Stato interrompe i programmi. Parla il vicepresidente, che in 31 secondi annuncia quello che tutti aspettavano ormai da decenni. Il presidente si è dimesso e ha lasciato in mano al consiglio supremo delle forze armate il controllo del Paese.

La gioia esplode. Tutti in strada a far festa. Quelli, come me e i miei confratelli, che erano appena tornati dalla piazza Tahrir ci ritornano. Molti altri vengono a piedi. È un susseguirsi di canti, grida di gioia. Gente che stringe la mano ai soldati, che hanno permesso che questa settimana non fosse segnata da un assurdo spargimento di sangue. Clacson di auto e moto. Bandiere ovunque. Il Paese intero è fuori a gridare di gioia!!!!!!!!!!!!!!!

Gelsomino Egiziano


Domenica 23 un’amica che incontro sempre alla messa in inglese mi dice di stare a casa il martedì seguente. “Vogliono che si ripeta qui in Egitto quello che è accaduto in Tunisia”. Nelle ultime settimane qui in Egitto abbiamo assistito ad una serie di giovani che si sono suicidati: disoccupati in preda alla disperazione. Effettivamente era cominciato così anche in Tunisia…

Martedì 25 – Giovedì 27 gennaio: il popolo vuole democrazia!
La protesta è cominciata in modo abbastanza pacifico. Alcuni di noi studenti a scuola ripetono, scherzando, gli slogan dei manifestanti: assha’b yurìd isqàt annithàm, “il popolo vuole il crollo del sistema”. Ma alcuni professori ci fanno notare che non abbiamo nessuna ragione di fare nostre queste parole: la protesta è una cosa egiziana, loro.
Il clima si appesantisce nella tarda mattinata di giovedì quando ci si rende conto che la protesta del giorno dopo sarebbe stata molto più grande. Nei paesi mussulmani la preghiera del mezzogiorno del venerdì è molto sentita, e ogni protesta che venga fatta dopo la preghiera del venerdì a mezzogiorno è sempre un evento carico di partecipazione, non solo numerica. Il direttore della nostra scuola decide di sospendere le lezioni.
Nella preghiera mi chiedo perché uno debba scendere in piazza. Mi vengono in mente le parole che qualche anno fa mi disse Stefano “quando la gente in un villaggio scava un pozzo, non sta cercando solo acqua: sta cercando Dio”. La rivoluzione non è che l’espressione di un desiderio che ci accomuna tutti. Tutti cerchiamo una vita più autentica, più dignitosa, più felice. E ci sono momenti nella storia in cui bisogna prendere in mano la propria esistenza e giocarla. Con coraggio.

Venerdì 28 gennaio: dies irae
Internet è oscurato in tutto l’Egitto, e così pure tutte le linee telefoniche dei cellulari vengono chiuse poco dopo le 9.
Nel pomeriggio vado a vedere cosa succeda in piazza Tahrir. Come esco di casa sento un bruciore al naso e agli occhi: i lacrimogeni che stanno lanciando nella piazza Tahrir si fanno sentire anche qui, a più di due chilometri di distanza. Arrivati al Tahrir, vediamo che la tensione sta salendo. La polizia continua a sparare lacrimogeni. Nel corso delle ore i manifestanti si fanno via via più intolleranti e reagiscono. Vengono bruciate camionette della polizia. Di fronte alla nostra casa in via Ramses alcuni poliziotti sono circondati: i più fortunati scappano su alcune camionette; altri, rimasti a piedi, depongono armi e uniformi e se la danno a gambe.
In serata arrivano a piazza Tahrir e negli altri posti centrali del Cairo (la Corniche e Ramses) i militari. I manifestanti li accolgono con gioia.

Sabato 29 gennaio: notte di paura
Ci svegliamo la mattina di sabato per renderci conto che non c’è più polizia per le strade.
Le proteste continuano. L’esercito non assume un comportamento violento come aveva fatto la polizia ieri, quindi la giornata prosegue abbastanza pacificamente.
La notte M. annuncia di aver sciolto tutto il governo.
Ci si organizza spontaneamente fra vicini a fare la ronda. Si spande la voce che diverse prigioni siano state abbandonate dalle forze di sicurezza. Per tutta la notte si susseguono atti di vandalismo e di violenza in tutta Cairo. Qui nel nostro quartiere solo qualche negozio è saccheggiato o dato alle fiamme.


Domenica 30 gennaio: mostrando i muscoli
La protesta continua. Nel pomeriggio due caccia volano molto bassi sul centro del Cairo. Il regime mostra i muscoli.
M. nomina il capo dei servizi segreti suo vice, carica che per trent’anni non era neppure esistita. Ci convinciamo tutti che il regime abbia le ore contate.
Seconda notte senza la polizia per le strade; solo qualche posto di blocco dell’esercito agli incroci principali.
A questo punto mi sembra molto chiara la strategia di M.: invece di fermare la rivoluzione in un bagno di sangue, preferisce fiaccarla. Il Paese è fermo. La fame fermerà le proteste. Meglio trascinare nel baratro 80 milioni di persone piuttosto che fare quello che il buonsenso comanda…

Lunedì 31 gennaio: ritorno alla normalità?
Piano piano la polizia torna per le strade. Alcuni poliziotti tornano, ma in borghese, non so se per paura di essere riconosciuti, o per il fatto che diverse delle loro caserme sono state date alle fiamme (e quindi sono a corto di uniformi, armi e altri mezzi). La gente comunque li accoglie molto volentieri, visto che il panico delle ultime 48 ore è stato un incubo che nessuno vuole rivivere. In molti quartieri popolari il vandalismo e lo sciacallaggio sono ancora molto forti. Alcuni negozi tornano a lavorare. Ma la ressa ai supermercati per comprare provviste è impressionante.

Martedì 1 febbraio: grande protesta pacifica
Centinaia di migliaia di persone protestano, in modo molto pacifico. C’è chi perquisisce all’ingresso della piazza. Il morale è altissimo e la speranza di farcela è tanta.
La notte, M. fa un altro discorso. Annuncia che non si candiderà alle prossime elezioni presidenziali, né presenterà il figlio. Le sue parole fanno leva sul sentimento patriottico, e vincono l’appoggio di chi aveva combattuto la guerra del 73 (quella contro Israele)…

Mercoledì 2 febbraio: scontri fra egiziani
La gente è divisa. C’è chi accetta le parole di M. come un armistizio, dicendo che il Paese non può reggere altri giorni di chaos, e chi invece sostiene che M. se ne deve andare subito.
In mattinata torna l’internet, il che permette anche alle banche di riaprire. Credo si voglia far credere che la situazione sta tornando alla normalità…
Nel pomeriggio, come per magia, si materializza un’immensa manifestazione a sostegno di M. Incredibile ma vero, decine di migliaia di persone scendo in strada per dire che il suo discorso ha risolto tutto. Camminando per le vie del centro mi chiedo come sia possibile che la folla che fino a ieri gridava “Crucifige”, ora canti “Osanna”… sembra uno scherzo il fatto che lo slogan dei manifestanti si sia rivoltato come un calzino: asshà’b yurìd mubàrak arraìs!, “il popolo vuole M. presidente!”. Noto che le foto che portano sembrano appena stampate, e i loro striscioni non sono fatti “artigianalmente”, ma sono plastificati.
In piazza Tahrir scoppiano gli scontri fra i pro-M. e i contro-M., che rimangono circondati. I manifestanti a favore di M. sono chiaramente in superiorità numerica, e si sono portati appresso coltelli e sassi.
Quella che nel pomeriggio mi era sembrata la “manifestazione finale”, non è altro che un colpo di scena che sembra ri-aprire il gioco. A questo punto l’unica cosa che mi pare di poter capire è che ogni giorno gli elementi imprevedibili superano quelli prevedibili: è ormai una settimana che ogni giorno succede qualcosa che nessuno (o quasi) si sarebbe aspettato. Meglio non farsi previsioni, allora.
Per tutta la notte in piazza Tahrir i due gruppi si lanciano addosso sassi e molotov.

Giovedì 3 febbraio: caccia al giornalista
La notte di violenza fra i pro-M. e i contro-M. accresce la tensione. Molti che solo 24 ore prima si erano fatti convincere dalle parole del rais ora tornano a criticarlo perché l’esercito non è intervenuto a fermare gli scontri fra i due gruppi.
Le agenzie internazionali parlano del gruppo anti-M. come di un gruppetto di eroi, di martiri, ma mi sembra che le cose siano ben più complesse. È vero che fra i pro-M. ci sono diversi della polizia segreta (del resto, come spiegarsi tutte le loro armi?), ma è anche vero che fra quelli che sono contrari al regime si nascondono i Fratelli Musulmani, che non hanno niente da perdere, o che –meglio – ora non possono più tornare indietro: si sono esposti troppo per accettare che M. resti su altri 6 mesi…
Gli oppositori sono sotto assedio in piazza Tahrir. L’esercito non interviene, mentre egiziani prendono a sassate e bastonate altri egiziani. Ancora una volta, l’indifferenza prova di essere una presa di posizione: se non la più violenta, sicuramente la più cinica. Cibo e medicine che qualcuno stava portando agli assediati in piazza vengono buttati nel Nilo.
Il movimento in favore del governo comincia a prendere di mira giornalisti, stranieri e non solo. Cresce la paura: qua non si parla solo di sequestro delle macchine fotografiche, ma di veri a propri pestaggi, con tanto di accoltellate…

Venerdì 4 febbraio: “giorno della partenza” (?)
Nelle intenzioni delle opposizioni, la giornata di oggi dovrebbe essere il grande giorno della partenza di M. È venerdì, quindi aspettiamo di vedere cosa succede dopo la preghiera di mezzogiorno. Verso le 2 del pomeriggio sento da casa la folla dei pro-M. che si dirige verso il Tahrir, dove gli oppositori al regime sono sotto assedio da tre giorni.
Mentre cala la notte è chiaro che gli oppositori al regime sono di gran lunga più numerosi dei sostenitori. Le agenzie parlano di 3 forse 4 milioni di manifestanti contro il regime in tutto l’Egitto, mentre i pro-M. sono ridotti a poche migliaia. Non mancano gli scontri, ma l’esercito tiene il secondo gruppo fuori dalla piazza Tahrir.
Se da domenica a martedì m’ero convinto che M. potesse vincere il braccio di ferro che ha voluto fare contro il suo stesso paese, ora ho l’impressione che – forse – il movimento per la democrazia sia molto deciso ad andare avanti.
Aspettiamo l’evolversi degli eventi,
accompagniamo con la preghiera.