Tuesday 24 December 2013

Natale: onnipotenza al rallentatore. (Quando Dio decise di fare il contadino, e non l'imperatore)

Questa volta la lettera di natale la mando con un abbraccio freddo, non tanto per il clima – che ha portato la neve anche nella terra dei faraoni, dopo decenni – ma soprattutto perchè quest’anno più che mai il mio cuore arriva a Natale spezzato in due. Da una parte sono molto felice e soddisfatto, quasi estasiato. Dall’altra, quello che sta succedendo in questi giorni in Sud Sudan mi riempie di una tristezza e un’amarezza che davvero ottenebrano la luce di questo Natale. E – ad essere precisi – il Natale è la festa della luce che “le tenebre non hanno potuto sovrastare” (Giovanni 1:5).

Ho pensato a lungo a quale delle due metà del mio cuore dovesse scrivere questa lettera, e alla fine mi sono accorto che sono due faccie della stessa medaglia. Come la povertà, che ha le due faccie della semplicità e della miseria, così l’incarnazione di Dio ci parla di due misteriose lentezze: quella dell'imperatore e quella del contadino.

Gli imperatori e i potenti della terra sono lenti perchè – a duemila anni dalla sua ventua – ancora non sanno dove trovarlo, il re dell’universo. Lo cercano nei palazzi, nel successo, ma non lo trovano. Troppo dura, per loro, uscire dai palazzi e cercare altrove. Così pure dopo 40 anni di guerra, i leader del Sud Sudan ancora non sanno trovare la via della pace. Troppo duro per loro cambiare modi di risolvere i problemi. Noi tutti, nella vita quotidiana, siamo lenti nel voler ascoltare il messaggio di Gesù: diciamo che è difficile, quando invece è semplicissimo. Il fatto è che ci fa comodo pensare che sia difficile, così non ci sentiamo in colpa.
La beffa sta nel fatto che spesso accusiamo Dio di essere lento. Sì, Dio si è fatto lento, ma quando invece di usare la bacchetta magica è sceso in terra, ha assunto la nostra natura (fragile) e si è fatto uomo. Dio non è un elicottero delle Nazioni Unite. Dio è un germoglio che spunta lì dove il ghiaccio credeva di averla avuta vinta sul terreno fertile.

E questo mi porta all’altro lato del mio cuore, quello pieno di speranza. Quello che crede nella potenza della lentezza. Dio incarnato è potenza nel tempo. Onnipotenza rinchiusa in un piccolo, insignificante bambino. Onnipotenza del seme che cresce, del messaggio che entra, senza che venga detta parola. L’onnipotenza degli esempi, contro il mito di potenza delle parolone.

Martin Luther King, nel suo stupendo messaggio “I have a dream” ha detto “con questa speranza, estraeremo un sassolino di speranza dalla montagna della disperazione”. In qualche modo, è quello che i miei studenti e io stiamo facendo in queste settimane, pubblicando un libro di storie scritte da loro, in cui si prendono il lusso di sognare (si, anche i poveri sognano). Vi mando la foto che metteremo sulla copertina.
Questo è Natale: speranza, nonostante tutto. Non ce ne servono vagoni. Ce ne basta poca, la speranza di un seme. Nella fiducia che il seme, piano piano, crescerà.

Buon Natale a tutti!!
Abuna Diego

Monday 23 December 2013

E la parola si fece carne (Gv 1,14)

Cos’è la tua Parola, o Dio?
È la prova che sei vivo
La parola viene da una bocca che respira
Con il tuo respiro ci hai dato vita
E adesso con la tua parola ci dai l’immortalità

Cos’è la tua Parola, o Dio?
Se tu, o Dio, fossi sempre e solo in cielo
Allora la tua Parola sarebbe solo un comando
Una direzione per il cammino
Come le stelle che ci indicano la direzione nella notte
Così la tua Parola ci illumina il cammino
“lampada ai miei passi è la tua parola”
Ma tu non sei solo in cielo. Sei qui fra di noi

Cos’è la tua Parola, o Dio?
Se tu fossi solo un re
allora la tua Parola sarebbe una chiamata,
o una domanda che vuole da noi una risposta
Sì, la tua parola è chiamata,
perchè tu vuoi da noi che camminiamo
ma io sento più che una chiamata nella tua Parola

La tua parola non è solo un ordine
neppure solo un comando
la tua parola non mi chiede cosa posso fare per te, o Dio
ma mi rivela cosa tu sei pronto a fare per me, per noi
più che un comando, più che una chiamata
la tua parola è una promessa

La tua promessa è “io sono con voi”
e tu mantieni questa promessa, Signore,
tu vieni a vivere fra di noi
non con la potenza degli eserciti
nella semplicità, nel silenzio
ti adoro, re semplice!
ti ascolto, dolce promessa!


Parola incarnata, promessa compiuta.

Saturday 31 August 2013

la folla, il re e le lamette da barba

Cambio di re, cambio di fashion. Incredibile ma vero, ma da quando è stato deposto il presidente dei Fratelli Mussulmani, per strada si vedono molte barbe di meno. Non lo dico io: è agli occhi di tutti. Chi prima dava sfoggio della sua barba trendy – ovvero in sintonia con l’ascesa della Fratellanza dalle prigioni ai palazzi del potere – oggi per quello stesso principio di “aggiornamento” si rade alla grande. E intanto – credo – la Gillette sta facendo i soldi.
Scusate il tono scherzoso, ma non trovo un modo migliore per esprimermi. E non credo che si meriti di meglio che un sorriso il voltafaccia nazionale per cui quelli che poco più di un anno fa erano salutati come i salvatori della patria, oggi vengono evitati – se non pubblicamente insultati – come se fossero appestati. 
(Per carità, non ne prendo le difese, visto che ne hanno combinate davvero di brutte: il bilancio delle Chiese bruciate supera la quarantina, e credo non si contino le caserme delle forze di sicurezza... giusto per dirne un paio...)

Mi fa impressione questo voltafaccia, anche se non è nulla di nuovo. La folla che acclamava Gesù come figlio di Davide era grossomodo fatta degli stessi ceffi che dopo qualche giorno preferirono Barabba al Figli di Dio (Barabba che significa “figlio di un papà”... mentre Gesù è “figlio del Papà”...)

Allora mi fa paura quel sentimento inespresso, ma contiuamente presente, per cui si guarda ai fratelli mussulmani come se fossero loro la sciagura dell’Egitto. E dagli all’untore. Sono giovane per fare queste conclusioni, ma ho come l’impressione che qui in Egitto stiamo assistendo a qualcosa di simile alla caduta del fascismo. Raba’ al-Adaweyya come Salò, e adesso tutti a puntare il dito contro il capro espiatorio... quando a mettercelo al potere era stato il popolo stesso.
Forse la sciagura dell'Egitto è che il popolo non sappia di preciso come controllarsi. Che non sappia scegliere i propri leader. Forse la sciagura dell'Egitto è che si voglia parlare di democrazia quando metà della popolazione è analfabeta, e pertanto abbindolabile.... e spendibile....
Allora, altro che urlare all'untore: dovremmo rimboccarci le maniche, ricostruire le scuole perse, ma soprattutto costruirne di nuove. Nella testa, non solo nei villaggi. E allora si, che la prepareremmo, una primavera araba, ma fra una ventina d'anni.


Gesù nel vangelo dice “non temete chi uccide il corpo, ma non può uccidere l’anima: temete piuttosto chi può uccidere nella Geenna e il corpo e l’anima” (Mat 10,28)
La sete di vendetta, il desiderio di aver ragione, il fariseismo di chi si lava le mani e dice “è stata tutta colpa loro”... questo è bruciare nella Geenna, questo è violenza, questo è cadere nella trappola del nemico.

Il vero nemico non è chi mi fa guerra:
il vero nemico è il fare la guerra

Friday 16 August 2013

Spegni le fiamme, Signore!

Mercoledì scorso è stato sicuramente il giorno peggiore, qui in Egitto, da quando è caduto il regime di Mubarak. I Fratelli Musulmani, che finora avevano intortato i media di tutto il mondo dicendo di essere le vittime di un golpe di stato (come se si potesse spazzare sotto il tappeto il fatto che per un anno hanno comandato come se le minoranze non esistessero, imponendo una costituzione fondata sull’interpretazione stretta della legge islamica, e imponendo membri del loro movimento in tutti – tutti!!!! – i posti del potere, forzando più di mezzo milione di cristiani alla fuga in altri Paesi) questi Fratelli Musulmani hanno dato sfogo al loro piano d’azione.



Appena l’esercito ha fatto sgomberare le piazze di Raba’ al Adaweyya e Nahda, in tutto l’Egitto gruppi armati sono scesi nelle strade e hanno attaccato i palazzi del governo e le chiese. Passi che abbiano dato a fuoco trenta dipartimenti di polizia, ma che abbiano dato fuoco ad almeno 20 chiese, e conventi di suore, e scuole... e persino un orfanotrofio per bambini disabili!!! È questo il movimento “pacifico”? Sono queste “le vittime del golpe”?
L’America e l’Europa prendono tempo. Fanno fatica a vedere quello che anche i ciechi vedono. Mi chiedo cosa spinga i media occidentali ad essere così supinamente passivi, così morbidi con i Fratelli Musulmani, tanto che mercoledì sera, ancora una volta, una giornalista Rai parla della violenza usata dall’esercito, e quasi si dimentica delle chiese bruciate...
Non ho parole...

Io mi trovavo a fare i miei esercizi spirituali. Per caso, nella stessa casa, si trovava un gruppo di suore egiziane che il giorno dopo avrebbero dovuto tornare al loro convento. Ma non ci sono tornate. Perchè il loro convento non esiste più. Bruciato.

Ci vogliono anni, e sudore, e fatica, per costruire
E basta un po’ di ignoranza, qualche litro di benzina, e pochi minuti per bruciare e demolire.

Una delle suore, al ricevere la notizia, ha reagito con una preghiera isterica, fatta di singhiozzi... “Signore, spegni le fiamme! Signore, spegni le fiamme!”.
Porto nel cuore l’immagine di questa suora, di questa madre che piange per la scuola che non c’è più.
E porto con me la sua preghiera.

Signore, spegni le fiamme
Quelle che i tuoi nemici hanno acceso per rovinare la tua opera.
Ma spegni anche le fiamme della rabbia,
che vuole attecchire nei nostri cuori.
Spegni le fiamme divoratrici della sete di vendetta,
perchè quelle rischiano di bruciarci l’anima.
Spegni le fiamme, Signore
Spegni le fiamme, Signore

Thursday 30 May 2013

ciao, don Luciano!!

Carissimi amici e amiche di Cogollo,
mi unisco nel pianto per l’ultimo saluto a don Luciano.
Forte: un nome, un programma.

Mi commuove molto pensare che esattamente un anno fa, giovedì 31 maggio, tre giorni prima della mia ordinazione sacerdotale, la Provvidenza mi fece un regalo enorme, cioè quello di andarmi a confessare proprio da don Luciano, mio padrino di Cresima.
Ricorderò per sempre il sorriso con cui mi ha accolto nel confessionale, e quasi la voce dentro di me che mi diceva: “questo sorriso è l’immagine del Padre Misericordioso”. Un sorriso così pieno di affetto e comprensione. E in questo affetto, appunto, ho sentito la sua forza. Quella forza che ti costringe a metterti in ginocchio e a chiedere scusa. Quella forza che ti mette a nudo dalle scuse che ti sei cucito addosso. A nudo anche dalla paura di non essere accolto, perchè il padre misericordioso è lì che ti accoglie. Senza se e senza ma. Incondizionatamente.
Noi comunità di Cogollo non ricordiamo don Luciano perchè è stato un gran predicatore, o perchè ha costruito e fatto “cose”. Probabilmente ha fatto anche tutto questo, e immagino che in questi giorni – giustamente – qualcuno si preoccuperà di rendergliene omaggio. Ma credo che la cosa più grande che don Luciano ci ha lasciato è il suo sorriso, il suo affetto paterno. La sua umanità. Ha fatto come Gesù, che “andava in giro facendo del bene”. Niente di più, niente di meno. Essere umani, quello è il miracolo oggi; visto che di gente ce n’è tanta, ma di umani... 

Essere umani è essere sacramento di Dio in terra. Perchè Dio ci ha creati che fossimo l’immagine sua. E don Luciano, come anche altri preti che Dio ci ha regalato, è stato l’immagine di Dio che camminava per le vie di Cogollo.

Con un bel po’ di commozione, ringrazio Dio per quel sorriso, che ha toccato il cuore ti tanti di noi – credo di tutti. Personalmente, posso dire che oggi sono dove sono per merito anche suo. Quando a 9 anni ho detto alla mia mamma che volevo diventare prete, in realtà le stavo dicendo che volevo diventare essere come don Luciano. A distanza di ventun anni, oggi coltivo lo stesso sogno.

Ciao, don Luciano,
ti salutiamo con semplicità e senza sfarzi,
visto che tu ci hai abituato alla tua semplicità.
Anzi, la tua semplicità è quello che ci ha ammaliato.
Ti porteremo sempre nel cuore.
Tu prega per i tuoi figli e le tue figlie spirituali di Cogollo.

Il tuo indegno “fiòsso”

p. Diego



Saturday 23 March 2013

fine dello spettacolo!!


Durante l’ultima cena, Gesù disse ai suoi:

I re governano sui loro popoli
e quelli che hanno il potere su di essi si fanno chiamare benefattori.
Voi però non agite così;
ma chi tra voi è il più grande diventi come il più piccolo 
e chi governa diventi come quello che serve.
Chi è infatti più grande: chi siede a tavola o chi sta a servire?
Non è forse chi siede a tavola? 
Eppure io sono in mezzo a voi come uno che serve.

(Lc 22)



Qualche anno fa, mentre facevo il mio servizio nella parrocchia di Kibera, in Kenya, mi ricordo il parroco – padre Carlos – che di solito presentava la baraccopoli a chi ci veniva a trovare dall’Europa o dall’America. “La baraccopoli? È tutto quello che volete che sia. Volete che sia un posto pieno di miserabili in attesa del vostro aiuto? Ok. Volete che sia uno zoo della povertà? Volete che sia l’opportunità di fare dei soldi? Volete che sia una comunità di persone? La baraccopoli può essere tutto questo, e molto di più. Sta a voi scegliere come la volete vedere.”
Penso a queste parole, e mentre accompagnamo Gesù che entra a Gerusalemme credo che lo stesso si possa dire della Pasqua, che ci prepariamo a vivere. Paolo Barabani, nella sua bellissima canzone Hop hop hop somarello fa capire come l’ingresso di Gesù nella città delle contraddizioni sia un mescuglio assurdo di contradizioni. Chi pensa che Gesù sia un cantastorie, chi un mago, chi un furfante, chi uno potente sul quale fare affidamento. Ognuno ha il suo Gesù.

Eppure Gesù rivendica la libertà di essere se stesso, di non cadere dentro nessuna di queste caselle. 

Questa è dignità.

La dignità è una cosa leggendaria, oggigiorno è  una merce rara. Ecco perchè di fronte al suo silenzio Pilato si stupisce, ecco perchè di fronte al rifiuto di fare il mago Erode si indispettisce. Ecco perchè Pietro si sente a disagio di fronte alla pacifica rassegnazione del maestro, che non prende scorciatoie, ma si gioca fino in fondo.

La Pasqua è la fine dello spettacolo. Giù le maschere, le interpretazioni: vediamo Gesù per quello che è. L’uomo della croce. Il vivente.

Credo che nella Chiesa come nella società si stiano levando molti gridi di chi dice “basta con lo spettacolo! Ridateci la verità!”. È il grido di chi cerca dignità.
Papa Francesco ci sta invitando a questo scendere dal palco.
Anche qui in Egitto la gente chiede ai capi di finirla con le storielle. È ora di essere onesti, di ridare dignità alle persone.
Anche per i rifugiati sudanesi qui al Cairo, e per tutti i rifugiati del mondo (l’Africa si sta trasformando in un continente di rifugiati!!) il desiderio è quello di essere trattati con dignità. Basta con le storie!!
Questo il mio augurio, per me e per ognuno di voi: che la Pasqua sia il tempo in cui, umilmente, ci mettiamo in ascolto delle storie di chi soffre. E magari cominciamo a chiederci se possiamo dare una risposta al grido di tanti fratelli e sorelle.
Buona pasqua a tutti!!

Friday 22 March 2013

hop hop hop somarello

di Paolo Barabani


Lento lento sulla strada di Gerusalemme,
sulla sella di un somaro
viene l'uomo di Betlemme.
E' un gran santo, un mendicante,
un pellegrino, un gran furfante,
un'artista non cantante di novelle.

Hop hop hop somarello,
trotta trotta, il mondo è bello.
Hop hop hop somarello,
trotta trotta, tu porti l'agnello.

I miracoli li fa da se con le sue mani,
ma qualcuno per tre volte
lo rinnegherà domani.
Questo è Pietro il pescatore,
poi c'è Giuda il traditore,
tutti amici finché si raccoglie gloria e onore.

Ma c'è un prezzo per l'amore:
tre monete d'oro.
No, no, no.

Hop hop hop somarello,
trotta trotta, il mondo è bello,
hop hop hop somarello.

Sulla piazza l'han portato
al giudizio di Pilato,
chi sarà questo pezzente,
questo uomo è innocente.

Per Barabba hanno votato
ed il Cristo han condannato,
ed il sangue suo ricada sulla nostra gente.
Costui parla della pace:
muoia sulla croce.

Hop hop hop somarello,
trotta trotta, il mondo è bello,
hop hop hop somarello,
trotta trotta, il mondo è bello,
hop hop hop somarello,
trotta trotta, il mondo è bello.

Thursday 14 March 2013

capo chino


















Voi sapete come coloro i quali sono ritenuti capi delle nazioni le tiranneggiano, e come i loro prìncipi le opprimono. Non così dev'essere tra voi; ma piuttosto, se uno tra voi vuole essere grande, sia vostro servo, e chi tra voi vuole essere primo, sia schiavo di tutti. Infatti il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire (Mc 10,42-45)

Non si contiene la gioia per quello che abbiamo visto tutti, ieri sera. Papa Francesco. È proprio il caso di dirlo: un nome, un programma.
Non contengo la gioia nel rimeditare, ancora impressa nei miei occhi, l’immagine del papa, anzi, del “vescovo” (ha insistito sull’uso di questa parola, sia per sè che per il suo predecessore!! E in questo ha già segnato una svolta) che si inchina perchè sia il popolo a chiedere la benedizione di Dio su di lui.

Esatto. Perchè il cammino lo facciamo insieme. Non ci sono arrivati: anche il pastore deve fare il cammino, insieme a noi. Lui al suo posto e noi al nostro, ma tutti siamo in cammino.

Buffa la reazione dei cardinali che gli fanno corona – stonata: al papa che si inchina, non riescono a stare ritti. Si inchinano anche loro, dimostrando di non aver capito niente di quello che il loro pastore ha appena chiesto. Dovevano stare ritti, a benedirlo.
Un’incomprensione che ricorda tanto l’incomprensione di Pietro, che nel capitolo 13 del vangelo di Giovanni si rifiuta di farsi lavare i piedi dal maestro.

In effetti un capo che si china è scomodo.
Un maestro che serve.
Un leader che ascolta.

Molto più comodo avere un capo che comanda.
Fare la parte delle vittime è più facile: ci giustifica da tutto.
Non ce l’ho con i cardinali del balcone di Francesco papa.
Condivido il loro imbarazzo. Perchè forse loro, io, noi tutti siamo come Pietro: forse non abbiamo capito – o forse abbiamo capito anche fin troppo bene: il Maestro ci ha detto di abbassarci, e a noi... non va giù.

Penso che per ogni centimetro del quale si è abbassato il capo di Francesco si sono alzate di mille volte le aspettative della Chiesa - e del mondo su di lui.
Così si è complicato il lavoro.
Comincia male (per alcuni), perchè ha cominciato troppo bene.

Al papa che scende dal trono segue il papa che si inchina.

Signore, dove vuoi farci andare?




Monday 4 February 2013

La giara delle lacrime


(meditando sull'educazione
e su "L'abbraccio benedicente"
di Henri Nowen - Luca 15,11-32)




Giace gelida in fondo al cuore mio una giara
Colma d’acqua fredda salata:
Son le lacrime che non ho ancora piante






Attendono le lacrime per milioni di bambini e di ragazzi
Di bambine e di ragazze
Vittime di quel sistema che chiamiamo scuola
E al quale abbiamo dato l’altissimo titolo di educazione
Ma che educazione, forse, non è.

Un sistema che attraverso la competizione chiama alla guerra
Che sotto l'affascinante abito del successo propina l’egoismo
E che uccide la creatività
– quella stessa divina dote che ci distingue dalle bestie –
in nome dei “criteri uguali per tutti”


































Attendono le lacrime per noi tutti figli di Adamo
Che invece di goderci il paradiso
La compagnia con il nostro Padre
Ci siamo creati l’inferno
Davvero "l’inferno sono gli altri",
in questa corsa assurda e disperata ad agguantare un mito
- il più stupido e bugiardo dei miti -
quello della felicità da soli





Attendono le lacrime per me stesso
Figlio di quello stesso Adamo
E come lui stanco e affannato nel tentativo di piacere
Di eccellere, di piacere, di vincere.

E pensare che il Paradiso era nostro di diritto:
L’abbiamo lasciato vuoto, per spartirci con i porci le loro ghiande






Saturday 12 January 2013

Innamorato dell’Islam, credente in Gesù


Innamorato dell'Islam, credente in Gesù. Dell'islamofilia libro di Dall'Oglio PaoloLeggere le riflessioni di p. Paolo Dall’Oglio, sacerdote gesuita ri-fondatore del monastero siriaco di Mar Musa in Siria, è stato aprire le finestre dello spirito e della mente e sentire aria nuova, fresca. Parla di dialogo fra Cristianesimo e Islam, e lo fa trovando strade nuove. La sua riflessione è tanto più interessante e convincente per il fatto di essere vissuta, nell’esperienza monastica della sua comunità di Mar Musa. Scrivo qualche nota, per non dimenticare.


Il dialogo parte dall’amore

Paolo Dall’Oglio è conosciuto per espressioni che sono tanto ardite quanto profonde. “Chiesa dell’Islam” e “doppia appartenenza” sono forse due fra le categorie centrali del suo pensiero teologico. È interessante scoprire che non rivendica la paternità di queste espressioni, ma che si inserisce in un cammino che fu intrapreso prima di lui dal Beato Charles De Focault, da Luis Massignon, da dom Christian De Cherge, e da molti altri.
Il dialogo nasce dall’amore e conduce all’amore. O il dialogo parte dall’apprezzamento dell’esperienza altrui – senza complessi di superiorità nè esigenze apologetiche – oppure invece di dialogo stiamo facendo un dibattito, il più delle volte per vedere chi ha ragione (pp. 58,137-138). Schiavi di un’idea (superata o da superare?) di ortodossia per cui o ho ragione io, o hai ragione tu, giudichiamo la storia del genere umano “a partire da un’idea di rivelazione ancora molto letterale, molto rigida, un po’ meccanica, magica e ingenua di un dio nascosto che fa cucù. Ne scarturisce la caricatura di un Dio che si diverte ad ingannarci con religioni false e a lasciare l’unica vera religione sotto il peso di una serie storica di contraddizioni feroci e sanguinarie” (p. 153).
Amare l’Islam significa anche avere l’onestà – di fronte a Dio e a noi stessi – di riconoscere a questa grande religione una dignità teologica, un posto nel disegno di Dio. Probabilmente il ruolo di richiamare il Cristianesimo ad un’auto-critica, il compito (ingrato) di ricordare al cristianesimo calcedonese che non può vantare assolutismo e universalità, se con queste si intende un senso di superiorità e di orgoglio. Come scrive bene Paolo Branca nella postfazione, Cristo non conobbe momento più glorioso che quando scelse di lavare i piedi. Come ci ricordava Martini, anche Ismaele è erede delle benedizioni abramitiche, e la storia-destino di questo popolo (la umma) è legata alla nostra.

Al di là del sigillo: il trampolino

Uno dei cardini della teologia di Innamorato dell’Islam, credente in Gesù è la riflessione sulla profezia di Maometto e il concetto di rivelazione. Dall’Oglio ci invita ad andare al di là dell’idea del sigillo della profezia, per la quale dopo Gesù non ci sarebbe più nient’altro da dire. Gesù non è il punto d’arrivo, ma un punto di partenza. Un trampolino. Quest’idea mi piace molto, perchè è molto girardiana: Gesù incarnato, crocifisso e risorto è il perno attorno al quale gira l’intera storia del genere umano, il momento culminante (la pienezza dei tempi), promessa e compimento al tempo stesso. Dall’Oglio colpisce per la sua straordinaria capacità di apririsi al diverso, senza paura (anzi, con coraggio), non perdendo neppure per un istante una fondazione (anzi una consacrazione) di tutto il suo essere e credere a Cristo, e questi crocifisso.

Due punti di domanda e una curiosità

Innamorato dell’Islam, credente in Gesù è un invito a non aver paura del pluralismo. Anzi, è un elogio alla pluralità quale segno di vitalità e fecondità (in piena linea con la direzione indicata dal Concilio). È quindi naturale che sul suo scritto ci siano – e ci saranno – opinioni diverse.
Personalmente, trovo il suo libro una miniera di idee “nuove”, prima fra tutte l’idea della dignità teologica e della vocazione escatologica dell’Islam (quest’idea è nuova per me, ma a leggere il libro mi pare di capire che non lo fosse per Massignon). Ma ci sono due punti che non mi convincono, entrambi per il loro essere “vecchi”.
Dal punto di vista teologico, il suo modo di interpretare Muhammad mi ricorda la cristologia bultmanniana, quella che sosteneva non ci interessa il Gesù storico, ci basta il Cristo della fede. Analogamente, Dall’Oglio scarta il Muhammad storia e sceglie di seguire il Muhammad della fede (pp. 105-108). Questo non mi pare accettabile. Lo so che è dura conciliare i due, e credo che questo sia il vero dramma nelle coscenze di milioni di mussulmani. Ma scegliere di separare i due Muhammad e di prendere la via del Muhammad della fede mi sembra una scorciatoia sbagliata. Meglio impantanarsi nel dilemma – per ora latente, ma che giorno dopo giorno si avvicina ad emergere – di come conciliare i due. Forse l’Islam vive con trepidazione e paura la sintesi fra i due, e forse proprio in questa tensione dobbiamo inserirci anche noi cristiani.
Dal punto di vista della fenomenologia delle religioni, mi colpisce il suo riferirsi al New Age come ad un movimento con un nome ed un volto. Il fatto stesso di tirare in ballo il New Age è una cosa che non sentivo da tempo. Anche il giudizio sulla globalizzazione e sulla secolarizzazione – ovvero il considerarle come dei processi di imperialismo culturale da parte della “cultura occidentale” sul resto del mondo – mi suona vecchio. Credo che invece una riflessione teologica più girardiana offra un giudizio meno bigotto sulla secolarizzazione, che a mio parere rimane un processo intrinsicamente a-culturale e a-culturalizzante. E fondamentalmente positivo.
Dal punto di vista pastorale, mi rimane un dubbio – enorme – su come p. Paolo riesca a tradurre questo pensiero in prassi ordinaria per dei cristiani socio-economicamente poveri. Come missionario che si appresta – in sha Allah – a lavorare in Sudan, mi chiedo se e come poter tradurre questa riflessione in ortoprassi per l’uomo della strada.

Grazie

Indubbiamente mi sento molto arricchito dall’incontro con la riflessione di p. Paolo. Riprendo il mio cammino di missionario in Medio Oriente con una rinnovata voglia di entrare in dialogo, con amore vero per i mussulmani e la sincerità del loro credere. Mi impegno a coltivare l’atteggiamento della curiosità e a custodire l’impegno del rispetto. “Avremo l’Islam che avremo saputo sperare!”
In secondo luogo, mi edifica e mi sprona a ripartire con cuore nuovo il senso di gratitudine e stima che p. Paolo esprime per i Cristiani del Medio Oriente, sia per la loro fedeltà a Cristo che per la loro capacità e fecondità spirituale, che sono testimoniate dal loro essere Chiesa plurale.
L’incontro/dialogo con l’Islam ci chiama ad essere cristiani migliori (p. 123). Ringraziamo Dio di questa chiamata, e accogliamola con gioia!