Thursday 22 December 2016

Appartenere a Lui

Khartoum, Natale 2016
Carissimi Amici e Amiche!
Un saluto pieno di affetto per questa festa di Natale che si avvicina. Per me è il secondo Natale in terra sudanese, e non riesco a credere che il tempo stia volando così veloce. Mi sento ancora nuovo, ancora inesperto, e questo Natale arriva come un’appuntamento importante al quale – per l’ennesima volta – sento di “non essere pronto”.
Ma forse fa parte della natura del Natale. Non erano pronti i pastori, mezzi addormentati e mezzi vigilanti. Non era certo pronto Erode, che si è fatto dire da stranieri dov’era che doveva nascere il Re dei re. Non sono sicuro che fossero pronti neppure Maria e Giuseppe, due giovani che avevano fatto dei piani nella loro vita, ma che si erano improvvisamente svegliati per trovarsi nel sogno di Dio.
Forse il natale non è una festa per chi si sente pronto, per chi si sente padrone del tempo e della storia. Ma per chi ha l’umiltà e il buon senso di sentirsene ospite. Ospite di Dio che ci sorprende con il suo piano, che è proprio una cosa fuori di testa: Dio che si fa uno di noi. Uno di noi.
Da sempre abbiamo avuto la tentazione di spiegarci perchè e come Dio si sia fatto uno di noi. E con il righello della ragione abbiamo tirato il confine fra chi crede e chi non crede (gli “infedeli”). Ma la vita è ben altra cosa che la geometria dei dogmi.
Nelle ultime settimane qui al Comboni College abbiamo preparato la festa del natale con i nostri studenti. Per me è stata una lezione di umanità vedere come tanti nostri studenti di diverse fedi e riti si siano messi insieme per celebrare il Natale. Cattolici, copti, eritrei, e anche mussulmani, tutti hanno dato del loro meglio per fare festa a Gesù – che i mussulmani chiamano Isa.


Se le nostre definizioni di lui ci dividono, ci unisce l’affetto per lui, la stima – enorme da superare gli oceani e i secoli – per il suo messaggio di perdono, umiltà e pace. Ci unisce il sentire che gli apparteniamo e che lui ci appartiene. Ci unisce sentire che la sua festa è la nostra festa. Come nel fare la festa al nostro fratello maggiore. Lui è fratello nostro, fratello di tutti. E volendo bene a lui scopriamo di volerci bene l’un l’altro. Il resto, quello che ci divide e ci fa aver paura l’uno dell’altro, i pregiudizi, le paure, le condanne, i taboo, sono tutte maschere di cattivo gusto. Ci unisce l’umanità. Quello che mi unisce al bambino di Betlemme è quella stessa appartenenza che mi unisce allo sconosciuto, alla persona che mi sta antipatica, al violento e al “cattivo”: siamo tutti fratelli. E sorelle.
È con questo sentimento di ammirazione, se non di stupore, che mi accosto al Natale. Forse non “pronto” a “capire”, ma felice di esserci. E felice che ci siano tanti fratelli e sorelle di tutti i colori del mondo.
Buon Natale!
Con affetto
Diego


Saturday 29 October 2016

piccolo grande peccatore cresce

Lc 19,1-10

Giosuè, prima di mettere a fuoco e fiamme la città, a Gerico aveva salvato una prostituta, che aveva ospitato i suoi uomini.
Gesù a Gerico viene ospitato da un pubblicano, e lo salva.




Zaccheo – che poi vorrebbe dire “Innocente” (era davvero il suo nome, o un soprannome messogli dalla gente per la sua cattiva fama?) – aveva fatto il primo passo.

Non riuscendolo a vedere “perchè basso”, aveva preso l’iniziativa e si era arrampicanto sull’albero. Per un uomo della sua posizione sociale, forse salire sull’albero era scendere nel ridicolo. Già qua comincia la conversione.
Ma quello che soprende è la voglia, quasi l’inquietudine che ha Zaccheo/Innocenzo di vedere Gesù. “Il nostro cuore è inquieto, finché non riposa in te” dirà un giorno s. Agostino.

Ma chi era basso? Il testo non è completamente chiaro. Anzi, forse è volutamente equivoco. “Non riusciva a vederlo a causa della folla, perchè era basso di statura”.

Era basso Zaccheo, o Gesù?
Gesù ha sempre mostrato predilezione per i piccoli. Quelli che si umiliano di fronte alla misericordia di Dio. “Ha guardato all’umiltà della sua serva”.
Certo Zaccheo, se non era piccolo di statura fisica, lo era nell’opinione della gente, che lo disprezzava.
Ma forse la piccolezza fisica non è che un segno.

Gesù – che nel frattempo da cercato si è trasformato in colui che cerca – lo chiama ad abbassarsi, a scendere dall’albero.
E mi ha sempre colpito che la prima cosa che Zaccheo fa, dopo essere sceso, è alzarsi in piedi. Ma che gioco stiamo giocando? Chi è alto, chi è basso, chi sale, chi scende?

È Dio che abbassa chi si è alzato
e innalza chi si è abbassato.

“Voglio venire a casa tua”
Come lo ha detto a Zaccheo, lo dice a me e a te oggi.
Se gli apriamo la porta, allora prima ancora che sia lui ad entrare, quando ancora non abbiamo fatto un passo verso casa, già è entrata la salvezza: “oggi la salvezza è entrata in questa casa”. Certo, non parlava del domicilio di Zaccheo, perchè non avevano ancora fatto un passo.
Ma la conversione di Zaccheo porta la salvezza a Gerico, la città maledetta e peccatrice, protagonista di guerre e castighi divini antichi.

La conversione del peccatore è la salvezza di chi si credeva giusto.


Se non ci capita di incontrare il Maestro – che forse si è fatto troppo piccolo per noi folla – speriamo almeno di incontrare Zaccheo!

Sunday 9 October 2016

e perchè mai?

Caro Gesù
nel vangelo di oggi ti chiedi perchè - dei 10 lebbrosi che hai curato - solo uno torna a dire grazie.
E nessuno ti risponde. 
A nome degli ingrati, categoria alla quale purtroppo appartengo, te lo dico io.



Il primo non è venuto a ringraziarti perchè non voleva essere guarito. Voleva la tua pietà, non la guarigione. Sai, tante volte ci fa comodo fare le vittime, farci piangere addosso. Se non stiamo male non stiamo bene. Non vogliamo una soluzione, ma la scusa di continuare a mendicare.

Il secondo non è venuto perchè lui - nel gruppo dei dieci - era il capo. E ora che lo hai guarito lui e il gruppo intero, si trova ad essere re senza trono. Noi ingrati preferiamo essere re nel paese dei ciechi, piuttosto che vederci bene con due occhi.

Il terzo non è venuto perchè lui va solo dove va il capo. "Se non si muove lui, perchè mi devo muovere io?"

Il quarto è uno un po' intellettuale. Ha pensato "Gesù non ha bisogno che io vada fisicamente da lui... Posso benissimo ringraziarlo con il pensiero. Quello basta." Facciamo lo stesso noi pigri attaccati alla poltrona, rinchiusi nei nostri orticelli, ostaggi del nostro confort.

Il quinto non è venuto per obbedienza cieca. "Gesù mi ha detto di andare... E chi sono io per prendere un'iniziativa contro la sua parola?" A noi ingrati piace nasconderci dietro il nostro perfezionismo, l'illusione di aver fatto TUTTO quello che ci è stato chiesto. Il problema è che facciamo SOLO quello che si viene chiesto.

Il sesto non è venuto per superstizione. "Ora che sono guarito, perchè devo tornare indietro? Magari mi ritorna la lebbra...

Il settimo proprio non voleva ringraziare. "E' il profeta di Dio altissimo. Ha fatto solo il suo lavoro. E - detta tra noi - ci ha anche messo un po' troppo tempo". Questa è ingratitudine pura.

L'ottavo aspettava che si muovesse il gruppo. E poi, quando ha visto il samaritano cominciare a saltellare di gioia e dire che bisognava tutti tornare da Te, si è sentito in imbarazzo: "Chi, io?! Tornare con quello scemo lì?!"

Il nono sono io.

Saturday 24 September 2016

avrebbero voluto

sfamarsi del cibo dei maiali
avrebbe voluto il figlio minore,
quello che aveva pensato di farsi una vita sua
tutta sua
e invece di suo, alla fine, aveva solo uno stomaco vuoto dolorante,
era finito in basso
a fare la lotta con gli animali più zozzi che si possa immaginare

sfamarsi delle briciole che cadevano dalla mensa dell'epulone
avrebbe voluto il povero Lazzaro
che era ancora più in basso, lui,
lui che i cani... avevano pietà di lui i cani e gli leccavano le ferite

uno povero dentro,
che torna a se stesso e da suo padre
un altro povero fuori,
che muore attornato dai cani e si risveglia sorretto dagli angeli

e giù nel fuoco della morte eterna
il ricco, ancora vestito della sua superiorità
avrebbe voluto che il povero - sì, Lazzaro, lo conosce per nome -
gli raffreddasse la lingua con una goccia d'acqua

e avrebbe voluto che venisse mandato ai suoi,
ad ammonirli, a convincerli, che credessero

avrebbe voluto, ma per lui il fosso era già stato passato,
non c'era ritorno

avrebbe voluto. ma è morto nei suoi bei propositi.


Saturday 17 September 2016

a chi serve?

il vangelo di questa domenica - Luca 16,1-13 - ne ha molte da dire sull'uso dei soldi.

ma forse dovremmo cominciare proprio dal lì, dall'uso dei soldi.

chi usa chi, esattamente?




no, perchè a volte siamo noi ad essere usati...
ci fanno sorridere, desiderare, correre, sopportare quello che per principio non avremmo mai accettato. 
ci fanno fare i salti nel buio
ci fanno star svegli di notte
qualche indigeno di un popolo indonesiano, anni fa, dopo aver visitato l'occidente si era convinto che il vero dio dei bianchi fosse il denaro. e che i bianchi tenessero questa verità nascosta agli stranieri dicendo loro che un dio ce l'avevano. ma quando parlavano del loro dio e del suo libro, sorridevano, come quando si racconta una storiella ai bambini...

speriamo il povero indigeno si sia sbagliato
anche se a valutare da come viviamo... forse abbiamo converitito anche lui!

Saturday 2 July 2016

raccolto

"La messe è molta..."

Il Signore non ci ha mandato a seminare il bene
ma a raccoglierlo
a riconoscerlo
non ad imporlo

non lo esportiamo
ma lo troviamo
davanti a noi
che ci precede,
nonostante pensassimo di aver aperto noi la via a Lui

Saturday 25 June 2016

seguirlo

"Getta il tuo cuore oltre il recinto, e il resto gli andrà dietro"

Gesù non ha mai insistito tanto con l'idea che lo dovessimo amare, ma è sempre stato molto più insistente sul fatto che lo seguissimo.
E che ci lasciassimo dietro tutto: non solo i beni materiali, le cosiddette sicurezze, ma anche i progetti, le aspirazioni, a volte persino gli ideali (che non sia mai che in nome di un ideale calpestiamo la gente.... come tanti altri fanno nel mondo oggi). Addirittura, Gesù è arrivato a chiederci di liberarci anche dagli affetti. Non nel senso che li dobbiamo disprezzare, ma che li dobbiamo trascendere.

Tutto qua.


Saturday 18 June 2016

mistero messianico

"Pietro, non dire a nessuno che pensi che io sia il Messia"

perchè la mia salvezza passa per la croce, e mi sa che non siamo ancora pronti.

del resto non siete neppure pronti voi, i miei discepoli

neppure dopo 2000 anni...


chi vuole salvare la "sua" vita 
chi è illuso che la vita gli appartenga
è schiavo della sua illusione
è già morto

Sunday 12 June 2016

o tutto o niente

Lc 7:37-50
La donna peccatrice che si permette di scandalizzare il fariseo e i suoi invitati ci insegna l'amore.

L'amore non conosce il momento giusto, ma fa giusto ogni momento
L'amore non conosce la situazione appropriata, ma si appropria di ogni situazione
L'amore non ascolta le parole e i commenti della gente piena del suo cosiddetto "buonsenso", 
perchè l'amore stesso è l'unico senso


Wednesday 1 June 2016

in cammino (Lc 4,14-30)


(inserto Ormegiovani, Nigrizia giugno)

Si dice che chi ben comincia è a metà dell’opera. Sarà che forse siamo alle porte dell’estate, ed è un tempo propizio per fare bilanci dell’ultimo anno di cammino fatto. Con l’estate si chiude un anno di scuola, di lavoro, di attività. Nella nostra società post-industriale, l’estate è tempo di riposo, forse di viaggi, di esperienze nuove che crediamo ci debbano “ricaricare”, come se fosse lontano da noi quello di cui abbiamo bisogno.
La prima “esperienza” missionaria Gesù la fa fra la sua gente. Dopo il battesimo di Giovanni, torna in Galilea e comincia a parlare con la gente che incontra del Regno di Dio. 

E “tutti ne facevano grandi lodi”. Sembra ironica questa frase di Luca, messa all’inizio della grande predicazione di Gesù. Tutti fanno le lodi di un maestro nuovo. Finchè è nuovo. Finchè è lontano. Finchè non si prende la confidenza di fare domande, di provocare. Forse questa frasetta ironica di Luca spiega perchè tante volte ci teniamo alla larga da Gesù. Non andiamo a messa la domenica – e ne diamo colpa al parroco che fa prediche noiose o bigotte. Ma il vero motivo del nostro assenteismo spirituale è che ci fa comodo stare lontani dal Maestro. Perchè a stargli vicino potrebbe accadere che ci venga chiesto di cambiare, di scomodarci, di intraprendere un cammino che non abbiamo la voglia di cominciare (e che diciamo di non conoscere, ma in realtà giace abbandonato in un angolo buio della nostra coscienza, e lo conosciamo bene).

“Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia”. Gesù non inventa, ma accoglie. Quante volte nella nostra vita spirituale vorremmo inventare, trovare cose nuove, come se la novità fosse in se stessa la soluzione. E abbiamo a portata di mano – letteralmente, non metaforicamente –  quel libro che tutti abbiamo a casa, e che non leggiamo mai: la Bibbia. Se solo avessimo per la Bibbia un decimo del tempo che abbiamo per Facebook o WhatsApp. Ma – si sa – il problema è che le giornate sono troppo corte per fare tutto, no? E uno deve pur darsi delle priorità...

Ma il rotolo che Gesù apre non è solo quello fisico del libro della bibbia. È anche il rotolo della sua stessa vita. In esso Gesù non legge una fiaba per bambini, una leggenda, un libro di storia antica. Legge se stesso, la sua stessa vita. Gesù che prende in mano il rotolo del profeta ricorda Gesù che prende in mano il pane, e nel pane prende in mano il proprio corpo. Per spezzarlo, per condividerlo. Chissà se nel tempo delle vacanze non riuscissimo a trovare del tempo anche pre riprendere in mano la nostra vita: da dove sto venendo, e dove sto andando? Altrimenti – per usare le parole di papa Francesco – rischiamo di ammalarci di Alzheimer spirituale: non ci ricordiamo più la strada fatta, non sappiamo ringraziare, e anche sorridere di noi stessi e dei nostri limiti. E chi non sa ringraziare è una persona triste.

Apertolo, trovò”. È incredibile come – non importa quante volte hai letto la Parola – lei ha sempre qualcosa da dirti. Sarà che è viva, e come un’amica che viene a trovarti, ha sempre qualcosa da comunicarti – anche nel suo silenzio o nel suo sguardo. Se apriamo la parola con la convinzione “questa pagina l’ho già sentita e me la ricordo”, o se rivisitiamo il nostro cuore con il cinismo di chi crede di aver già imparato tutto, allora non ci sarà mai modo che sentiamo la Parola. Non esiste sordo peggiore di chi non vuol ascoltare, nè alunno più inutile di chi si sente già un professorone. “Se non ritornerete come bambini... non entrerete nel Regno...”

“Lo Spirito del Signore è sopra di me”. Sì, non sono solo. Non sono mai solo. Queste parole non valgono solo per Gesù in quel sabato mattina di 2000 anni fa nel piccolo villaggio sperso di Nazareth. Sono parole per me e per te oggi. Lo Spirito è con noi. Il problema è che spesso siamo noi ad essere fuori sede. “Ti ho cercato tanto, fuori di me, mentre tu eri tutto il tempo dentro di me”, ricorda – anche lui con un sorriso – sant Agostino.

“Lieto messaggio ai poveri, liberazione ai prigionieri, ai ciechi la vista, agli oppressi la libertà”. Di solito quando leggiamo questo piccolo elenco ci vien naturale pensare che si stia parlando quattro volte delle stesse persone. Ma se c’è una caratteristica del vangelo di Luca è che vuole far arrivare la buona notizia anche ai farisei, a quelli che – consapevoli o meno – hanno deciso di fare i sordi e i ciechi. La buoan notizia è buona per tutti: per il lebbroso come per lazzaro, per il pescatore come per la prostituta, per il santone come per il peccator. Con tutta probabilità sono loro, i farisei, gli oppressi: loro che si son messi ad opprimere la gente semplice con le loro regole e i loro sofismi, sono diventati oppressi dalla loro stessa oppressione, sfigurati, disumanizzati. Anche per loro Gesù ha un messaggio. Non importa quanto disperato sei, “il Maestro è qui e ti chiama”.

A proclamare l’anno di grazia del Signore”. C’è un salmo che i sacerdoti e i religiosi recitano spesso la mattina, prima delle lodi e che si chiama ‘invitatorio’. In questo salmo (il 95) c’è una frase che mi piace molto: “se lo ascoltaste, oggi!”. Il giubileo non è solo quest anno, il 2016, e poi se ne va come la coppa del mondo, fino alla prossima edizione. Il giubileo è tutti gli anni, tutti i giorni. Ogni giorno ricominciamo l’avventura del cammino con Dio. Ogni giorno è un’opportunità nuova per fare cose grandi, o cose piccole con un amore grande. Ogni giorno dovremmo ripeterci “questo è il giorno fatto dal Signore”. Nei suoi anni di prigionia, il vescovo vietnamita Francois Xavier Van Thuan ha imparato a credere fortemente che il momento più felice della sua vita era il momento presente. Ogni momento presente è un’opportunità. Ogni giorno posso fare la scelta di fare il bene, il bene che forse ieri non sono riuscito a fare. Quanta saggezza nella pedagogia scout che insegna la “buona azione” giornaliera! Se la facessimo tutti, in un mese il mondo sarebbe trasformato!

Ma non la pensano con altrettanta fiducia e speranza gli ascoltatori di Gesù. Loro che – purtroppo – credono di conoscerlo non se la sentono di sentirsi chiamare ciechi e prigionieri. Non sentono, o meglio non vogliono sentire, il bisogno di essere liberati. E se Gesù il carpentiere ha tanta voglia di fare il profeta e di paragonarsi ai profeti, gli facciamo fare la fine del profeta. Nessuno è profeta in patria, perchè “patria” è l’antitesi di profezia. La patria nasce dal mito così come lo raccontano i vincitori. Il profeta, invece, prende la parte dei vinti. Sono due categorie che non giocano mai assieme.

È impressionante vedere con quanta rabbia i suoi paesani lo spingono fin sopra il monte, per gettarlo. Perchè ha detto due parole di troppo? Oppure lo spingono perchè nessuno ha il coraggio di dargli una lezione a nome degli altri? E allora la folla spinge, anonimamente. Fanno violenza a lui, rigettandolo, ma fanno anche violenza a se stessi, nell’accettare di essere folla: anonima, senza volto, senza nome, senza cervello, senza direzione. La folla è il contrario del popolo, che invece ha una coscienza.

Ma Gesù sembra non scomporsi molto, e quasi con la stessa ironia con cui Luca avea aperto questa pagina, vediamo Gesù camminare fra la folla e andarsene. Non si mette a negoziare, a barattare, non scende a compromessi. Non piagniucola dicedo “scusatemi, non ci siamo capiti”. No, lui se ne va per la sua strada. Chi vuole seguirlo ha le gambe: che si affretti!

I poveri in spirito fanno la ressa per stargli dietro, mentre quelli ricchi di se stessi non riescono neppure a fare un passo. Ed io? E tu? 

Buon cammino!

Saturday 21 May 2016

Dio è un NOI

Dio che supera le nostre parole e la nostra mente,
non è un io o un tu
ma un noi: io e tu insieme



Saturday 14 May 2016

pentecoste

Vieni Spirito Santo!

Tu sei fuoco di passione
vieni nei nostrii corpi morti incapaci di muoversi, di fare il primo passo

Tu sei sorgente d'acqua fresca, dolce
irrora i nostri cuori aridi di disperazione, di mancanza di senso, di paura

Tu sei vento potente
scuotici dal torpore dell'inidifferenza e sciogli le nostre tante lingue che sono mute quando dovrebbero parlare  e che invece fanno tanto baccano quando dovrebbero ascoltare. Ascoltare te.

Vieni, vieni, vieni


Sunday 1 May 2016

"prendi il largo" (Lc 5,1-11)

(Ormegiovani maggio 2016)


Sembra che Luca sia l’unico evangelista a parlare di un “lago”. Gli altri evangelisti parlano sempre del “mare” di Galilea. E in effetti l’antico testamento non conosce due parole diverse, ma chiama mare entrambi. La cosa è curiosa perchè anche in arabo i due termini si confondono, soprattutto nell’arabo parlato. Forse è proprio di chi vive nell’arido Medio-Oriente il non far tanta distinzione fra la massa di acqua salata e quella d’acqua dolce. Per il popolo di YHWH il mare è sempre stato un simbolo di morte, di pericolo. Qualcosa di incontrollabile e misteriosamente forte, nel cui ventre si celano mostri più o meno fantasiosi. Nel migliore dei casi, il Mar Rosso si rivelò salvezza per il poplo d’Israele, ma morte per il faraone e il suo esercito. Una salvezza terrificante, piena di tuoni e lampi, tumultuosa.

Il lago, per noi comboniani, è invece un luogo che significa casa: abbiamo sempre in mente il giovane Daniele Comboni che dal Lago di Garda è partito, un giorno, per un viaggio senza ritorno. Non parlo di quello fisico, perchè da quello è tornato diverse volte; ma il viaggio della missione, quello sì che non lo ha fatto tornare più, perchè è stato un viaggio che lo ha cambiato. Il turista parte per tornare più colto. L’espolartore parte per tornare ‘realizzato’. L’apostolo parte, ma non torna mai.

Tutto è cominciato con quella notte di fatica in vano. I pescatori avevano ancora l’amaro in bocca, chissà che commenti si stavano scambiando, e chissà che sguardi, quando questo novello predicatore si è presentato a loro con la richiesta di andare al largo... Mi par quasi si sentire le parole di uno dei pescatori...

“Ma come si permette, questo? Abbiamo faticato tutta notte, e adesso sul più bello che ci siamo messi a ripulire le reti, e magari anche a metterci il cuore in pace e a riposare la schiena e le braccia dalla sfaticata, viene questo e ci dice di scostare la barca, perchè lui deve parlare? Ma chi si crede?”

Ed effettivamente quante volte sentiamo che il Signore bussa alla nostra porta proprio quando abbiamo bisogno di riposo. Crediamo di esserci meritati una pausa, e invece, ecco che incalza una nuova chiamata. La missione non va in vacanza. Come l’amico inopportuno che ti sveglia di notte...

Ma la generosità dei pescatori sembra aver la meglio, e così accontentano questo strano personaggio che deve parlare alla gente. Del resto, se la folla è così tanta da stringersigli attorno di buon mattino e in riva al lago, evidentemente avrà qualcosa di interessante da dire.

Ed è così che aprono la porta ad un ospite che poi non avrebbero mai più mandato via. Da quel giorno niente fu più lo stesso, e alla fine arrivarono a capire di essere loro stessi gli ospiti. Ospiti della loro stessa vita, fatta di pezze di una vita antica, vecchia, stantia. Una vita di altri, che stavano subendo. Una vita scritta dai dottori della legge e dalle tradizioni. Stranieri a se stessi nelle loro stesse abitudini, nel tran tran del vivere senza alzare la testa al futuro. Come se la loro vita fosse davvero un mare, ma un mare morto, come quello a sud, quello dove niente vive: un mare morto in mezzo ad un deserto arido. Quanta sete.
La cosa strana è che quel discorso di Gesù, quel mattino, non ci è mai stato riportato. Luca non si cura di trascriverlo. Forse i discepoli stessi non gliel’hanno mai raccontato. Perchè l’importante non è “cosa” diceva il maestro. Era il come. Il come era il messaggio. Luca ci fa lo stesso scherzo nella pagina di Emmaus, dove ci dice che ai due discepoli il Risorto spiega tutto... e questa spiegazione totale viene saltata a piè pari. Il vangelo fa come Gesù: non ci regala risposte, ma ci tormenta con domande.

Per i pescatori novelli assistenti tecnici di Gesù il discoro comincia quando per gli altri finisce. “Adesso andate al largo e calate le reti per la pesca”. Cosa?! Ma questo cosa vuole da noi? Eppure, straordinariamente, ancora una volta la generosità di Simone vince sul buonsenso. Che nemico il buonsenso. Con il buonsenso ci costruiamo mura, ci separiamo, ci difendiamo, fino al giorno in cui ci accorgiamo di aver creato il nostro stesso ghetto, la nostra prigione, la nostra tomba. Con il buonsenso ci limitiamo alla nostra “comfort zone”, il nostro orticello, le nostre abitudini. E poi abbiamo il coraggio di lamentarci che Dio non si fa senitire. Se chiudiamo occhi e orecchie, come fa lui? Deve buttare giù la porta?

C’è più sapienza nella disarmata semplicità dei pescatori che nelle sofisticate speculaizioni dei dottori della legge. I poveri ci insegnano la fede perchè la fede è una cosa semplice: è un affidamento, non una lista di dogmi. E la sapienza sta nel sapersi affidare, sapersi far condurre, più che nel pretendere di avere noi stessi in mano il timone della nostra storia, personale e comunitaria.

E se Simone si fa prendere dall’entusiasmo (nel suo piccolo, è un romantico, un sognatore, questo burbero pescatore di Cafarnao), gli altri ubbidiscono solo in nome dell’amicizia. “Se il mio compagno di pesca dice di si, perchè tirarmi indietro? Facciamo anche questa seconda sfaticata... al massimo gliela metteremo in conto più tardi, a quel testone di Simone!” Di nuovo, è la semplicità che vince sul calcolo. E quanto è importante avere modelli  giusti – siano personaggi famosi o amici – persone che ti fanno fa quello che da solo non avresti mai il coraggio di fare. Senza di loro, quante occasioni perse!

Vanno i pescatori, con il loro nuovo capo, gettano le reti, e accade l’impossibile. Sembrano esserci più pesci nelle loro reti di quanti ne abbiano visti in anni. Cos’è mai tutto questo?
“Simone, immancabile, aggiunge un altro po’ di teatro (non parla mai normalmente, questo; lui deve sempre uscirsene con una scena delle sue). “Allontanati da me, che sono peccatore?”. Ma allora si è bevuto il cervello, Simone! Abbiamo trovato il modo di fare soldi a palate, senza fatica, e lo manda via? In nome di che?”

Ma non c’è tempo di dare una gomitata a Simone per la sua – ennesima – gaffe che anche Gesù controbatte con un’uscita non da poco: “non temere, da oggi sarai pescatore di uomini”. “Come, adesso che abbiamo imparato a pescare pesci, cambiamo mestiere? No, il sole deve avermi fatto male, oggi... son troppo stanco, forse sto facendo un sogno, mentre Gesù sta ancora predicando alla marmaglia...”

“Ed invece no. Tutto vero. Tutto stranamente vero. Mi ci vorranno anni per scoprilo, ma alla fine l’ho visto. Ho visto che Gesù mi chiamava ad uscire dallo stretto recinto delle cose che credevo di conoscere. Mi ha invitato a saltare il muro del mio ghetto. A rischiare. A prendere il largo. E mi ha mostrato che il successo nel lavoro non era poi quello di cui abbiamo bisogno. Anzi – a volte – la cosa peggiore che possa succedere ad uno è che si avverino tutte le sue aspirazioni, perchè quel giorno potrebbe accorgersi che non ne ha altre. Che non ha altri sogni per cui continuare a vivere. “Prendi il largo” significa sogna in grande. E sognare in grande non vuol dire sognare una cosa grande. Vuol dire sognare al di là del buonsenso, al di là del lecito, del conveniente, del convenzionale.”


A volte ci chiediamo il segreto di come si faccia a trovare la gioia... ma cosa abbiamo intenzione di fare, il giorno che fosse la gioia a bussare alla nostra porta?


Saturday 30 April 2016

se imparassimo dalla palma...

"Vi lascio pace, vi do la mia pace"

Gesù ci lascia la pace. Ce la affida. Sembra quasi abbandonarla, nel lasciarla nelle mani di un gruppo si persone così piene di belle parole ma così codarde e opportuniste come i discepoli. Eppure, con follia divina, ce la affida.

Ne siamo responsabili, custodi.

E allo stesso tempo ci dona la SUA pace. Non come quella del mondo, la sua è tutta un'altra musica.

La pace del mondo la si fa con i cannoni, dopo che tutti - a partire dai poveri - ci hanno rimesso. Le più grandi paci sono state firmate dopo le più pesanti bombe.
E' una pace falsa, quella del mondo, coperta di violenza, e che sa di paura. Non è una pace figlia del dialogo, del rispetto, della fiducia (scusate il parolone!).

Se solo imparassimo dalla palma. Le lanci contro un sasso, e lei ti risponde con un frutto dolce...




Sunday 24 April 2016

se avete amore

"Il mondo saprà che siete miei discepoli se avrete amore gli uni per gli altri"

C'era una volta un re in un Paese lontano, che voleva invitare tutti i suoi sudditi al matrimonio di suo figlio. Li invitò tutti, ma ad una condizione: lui avrebbe fatto preparare le vivande, ma ognuno avrebbe dovuto portare un po' di vino, per condividerlo con gli altri. Avrebbe fatto mettere un enorme barile nel centro della piazza, in cui ogni invitato avrebbe versato il suo, così che ci fosse vino per tutti.

Un suddito che era piuttosto avaro pensò di andare al matrimonio senza portare vino. "Porterò un po' d'acqua. Nessuno si accorgerà della differenza, visto che siamo così in tanti a versare in quel barile"

Venne il giorno del matrimonio, e il barile perchè la gente condividesse il vino fu messo al centro della piazza. Ognuno vi versò quello che aveva portato da casa. Anche l'uomo avaro andò, e - premurandosi di non essere visto dagli altri - versò dalla sua fiaschetta l'acqua che aveva portato.

Quando venne l'ora di aprire il barile perchè tutti bevessero, dal barile venne fuori solo acqua.



L'amore di cui ci parla Gesù nel vangelo è fare il primo passo. Tante volte il nostro amore ce lo teniamo. Vogliamo sinceramente bene agli altri, ma semplicemente attendiamo che siano loro a fare il primo passo.

"Se avete amore gli uni per gli altri..."
L'amore è una risorsa da sfruttare
un tesoro da aprire
non da chiudere in cassaforte



Saturday 9 April 2016

la domanda più difficile

Gesù pone una domanda
A Simone, non a Pietro, perchè è Simone che lo ha tradito
Gli pone la domanda più difficile
La domanda che tutti pongono ovunque e da sempre
"Mi ami?"

Perchè l'amore non è un sentimento
E' una scelta, un impegno, una promessa, un patto

Sei pronto ad amarmi?
Se sì, allora, sei pronto a prenderti cura delle mie pecore?

Perchè l'amore non è chiuderci fra noi due
Ma aprirci al mondo intero

(Gv 21:1-19)

Saturday 2 April 2016

dita e mani

Gv 20:27

"Metti qui il dito e vedi la mia mano, metti qui la mano e vedi il mio fianco"

Vieni, allunga il dito della tua ricerca, forse affannata e impacciata, ma sincera
Tocca la mia mano, che per te ha creato l'universo, e lo ha ri-creato il giorno che sono morto per te, innocente che s'offriva per un branco di codardi e di meschini
Vieni, allunga la mano con la quale lavori, parli, saluti, incontri
Senti il mio cuore, che ancora è caldo di vita
Ancora vivo

La fede è un cammino fatto a tappe
Bellissimo che sia il Signore stesso a prendere la mano di Tommaso, per guidarlo
E lui sembra non guardare più con gli occhi. I suoi occhi neri sono persi. Forse guardano oltre. Forse più che guardare, si sente visto.

Forse la fede è smetterla di crederci protagonisti, e arrenderci alla sua mano





Friday 1 April 2016

Gioia fuori programma (Lc 10,25-37)

(inserto Ormegiovani, Nigrizia Aprile)

Dopo che Gesù si commuove per la grandezza della fede dei semplici, gli si presenta un dottore della legge, uno che di semplice ha poco. E gli pone una domanda strana: “Maestro, cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” La parola “ereditare” ricorda tanto il famoso giovane ricco che vede la vita eterna come un’altra proprietà di cui impossessarsi (nel vangelo di Luca, appare in 18,18). Ed effettivamente, molte volte vorremmo comprarci il paradiso, se non la misericordia stessa di Dio, con le nostre buone opere. Come se la religione fosse un mercato. Do ut des. Ti do le mie preghiere, i miei digiuni, le mie messe domenicali, e tu mi dai il paradiso – preferibilmente la prima rata me la dai già in questa vita (non si sa mai).

Da questo punto di vista, non c’è grande distinzione fra cristiani, musulmani, atei o che altro. L’idea che il bene possa essere comprato, che sia un diritto acquisito o acquisibile è un’idea molto umana, da antico testamento, e che ci portiamo dentro tutti. Più che un’idea, forse è una tentazione. Una voce che dovremmo imparare a sentire e a rigettare.

Gesù non si scandalizza del materialismo spirituale del sapientone che gli sta di fronte. Come al suo solito, rilancia con una domanda: “che cosa leggi nella legge?”. E qui il dottore della legge si dimostra almeno un passo più in avanti del giovane ricco. Mentre il giovane ricco farà un elenco dei comandamenti, questo dottore della legge ha trovato il riassunto della legge: i due comandamenti. Amerai Dio con tutto il tuo cuore (che nell’antropologia del tempo non significava i sentimenti come per noi, ma le scelte), con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e con tutta la tua mente. E amerai il tuo prossimo con lo stesso amore che hai per te stesso, ovvero: farai agli altri quello che tu stesso vorresti che loro ti facessero. Una sintesi stupenda, che merita un applauso. Altrove nei vangeli è solo Gesù a fare una sintesi tanto breve e tanto densa. Pertanto non c’è da meravigliarsi se Gesù gli risponde “Fa questo e vivrai”.

Fai questo e vivrai. Non ‘erediterai’, ma vivrai. Da oggi e per sempre, anche se la vita eterna non è una vita “più lunga”, ma una vita più profonda. Che può cominciare oggi, qui. Anche il libro della legge lo aveva detto: chi metterà in pratica questi comandi troverà la vita (Lev 18,5). Il salmo 1 e i profeti avevano pure parlato della legge come di una sorgente d’acqua. E chi ci vive accanto è come albero piantato sulla riva del fiume. Quanto fanno bene le regole. Forse ce ne siamo dimenticati, ma ci fanno bene. Nipoti di un mondo dove le regole erano forse troppe e applicate con troppo rigore, siamo un po’ allergici alla legge. Ne sentiamo il peso, ma non ne riconosciamo la forza. Eppure alcune leggi fondamentali sono come il motore per una macchina: pesanti, sì, ma come andare avanti senza?

Al dottore della legge, che la teoria l’ha capita tutta, non manca il modo di cercare un cavillo da cui uscire. Sente di essersi messo in trappola con le sue stesse mani. Ha quasi l’impressione che questo amore che ha nominato due volte possa chiedergli cose imbarazzanti, compromettenti. E allora spinge il maniglione sulla porta di sicurezza, e cerca di uscire dal retro. Chiede: chi è il mio prossimo?

Amare vuol dire non avere altro in mente che, lasciarsi ossessionare, non darsi pace. È sconfitta, non vittoria. È essere catturati-espugnati, non far violenza-possedere. Quando ai parenti di Gesù arriva la voce che il loro figlio è “fuori di se’”, non arriva solo un pettegolezzo, ma – ironicamente – una descrizione molto azzeccata del messia. Lui è uno fuori, “in uscita”, per dirlo con il linguaggio di papa Francesco. È un messia che non ha tempo per guardarsi nell’ombelico, perchè i suoi occhi sono altrove. In avanti. Con compassione.

Quella compassione che manca al sacerdote del tempio. Educato e formato ai doveri e alla legge, e alla necessità della sua purezza rituale, non perde il suo tempo ad essere umano. No, lui è sopra gli uomini: è mediatore della santità, non può lasciarsi immischiare in questioni contingenti. Facilmente vediamo in questa figura la mediocre burocrazia e finta spiritualità di molti preti e religiosi – anche missionari. E giustamente. Niente di più lontano dalla loro vocazione alla paternità/maternità spirituale. Ma questo stesso distacco in nome della purezza è purtroppo ben più diffuso di quanto ci concediamo di credere. Infatti, ogni volta che puntiamo il dito sugli altri per sentirci superiori, ogni volta che mettiamo i nostri ideali prima della storia dei nostri fratelli e sorelle, siamo operatori di una delle forme più gravi di violenza: l’indifferenza. Peggio dell’indifferenza viene solo il cinismo, perchè se l’indifferenza è spegnere il cervello, il cinismo è usarlo per mettere la gente sotto il tappeto del nostro senso di superiorità.

Anche il levita ha un cuore freddo, che non ha tempo per gli imprevisti. Anche lui preso dal suo lavoro, schiavo delle mete che lui stesso si è posto. Anche lui non ha ancora incontrato Dio Padre, ma crede in un dio padrone, e crede anche che le esigenze rituali del suo ministero vengano prima della misericordia. “Misericordia io voglio, non sacrificio”, dice uno dei ritornelli profetici più amati da Gesù. Ma a quanto pare, fa comodo nascondersi sotto la coperta del “ho fatto il mio dovere”. Il buonsenso è nemico della scandalosa misericordia di Gesù.

Misericordia scomoda

Sì, scandalosa misericordia. Imbarazzante. Chissà con che sentimenti il moribondo si è fatto aiutare da un samaritano. I samaritani erano al tempo i nemici per eccellenza. Per i giudei l’unico “samaritano buono” era il samaritano morto. Questioni tribali, che non sono estranee a noi italiani. Il tribalismo infatti non è una piaga africana o del sud del mondo. È un sistema di pensare e di agire che abbiamo tutti, con l’unica differenza che in Europa lo chiamiamo in modo diverso: regionalismo, razzismo, orgoglio patrio, maschilismo (e anche un certo femminismo), ecc.

Ma il samaritano se ne infischia delle regole dell’etichetta. I dettami del buonsenso li lascia andare e le giustificazioni del suo dovere (avrà avuto anche lui un lavoro da fare, o vogliamo davvero sempre pensare che gli altri – i diversi – son sempre in giro a far niente?) non le ha neppure prese in considerazione. Di fronte ha un uomo moribondo, un sofferente. Questo è quello che conta. Il resto viene dopo. Il samaritano si lascia sprogrammare perchè ha gli occhi aperti.



Mi piace pensare che fosse una persona semplice, molto probabilmente analfabeta. Perchè gli educati e gli elaborati hanno sempre mille modi di tirar fuori scuse per la loro indifferenza. Invece i semplici rispondono ai problemi in modo semplice. Vedono uno in difficoltà e lo aiutano. Non fanno clamore, non scrivono riflessioni sui giornali, non alzano la voce in modo isterico urlando all’ingiustizia sociale. O almeno, non dopo aver risposto al problema che giace alla loro porta.

In un mondo in cui tutto ci dice che possiamo amare solo ciò che conosciamo – ovvero, prima ti denudi di fronte a me e poi ti concedo il mio facebookiano “Mi piace”, questo strano personaggio di Samaria (che poi altri non è che Cristo) ci mostra la verità delle parole di s. Agostino: “conosci solo ciò che ami”. Prima fai il passo di amare, di servire, di lasciarti compromettere, e poi arriverai a conoscere, a capire. Se invece decidi di vivere nel freddo castello del tuo buonsenso, dei tuoi doveri e della tua reputazione, sappi che quel castello si rimpicciolerà fino a diventare la tua tomba.


Ho letto da qualche parte tre versi di William Blake: 

Ho cercato la mia anima, ma non si è lasciata vedere
ho cercato il mio Dio, ma lui è misterioso
ho cercato il mio prossimo, e ho trovato tutti e tre

Chissà che la parabola del buon samaritano non ci insegni a lasciarci sprogrammare, ad uscire dal nostro guscio. 

Allora sarà Pasqua di Resurrezione per tutti noi. 

Auguri!

Wednesday 23 March 2016

Pasqua: vittoria contro la paura

Proprio mentre questa settimana santa è ormai arrivata, siamo stati tutti scossi da un’altra tragedia di violenza. Ne capitano tutti i giorni, ma quelle che accadono a Parigi o a Bruxelles sembrano colpirci di più. Per altre tragedie i media hanno scelto per noi che non ci interessano: le quattro suore di Madre Teresa uccise in Yemen qualche settimana fa, a sangue freddo, sembrano non aver scosso le anime come la barbarie di Bruxelles. E le morti della violenza in Sudan e Sud Sudan sembrano non avere il peso dei morti della Siria. E così via...

Forse ci stiamo abituando a diventare dei burattini della paura. Ci emozioniamo e ci indignamo quando ci viene detto di farlo, ma altrimenti viviamo la nostra vita: “Vivi e lascia... morire”.

La morte di Gesù duemila anni fa dev’essere stata grossomodo come una delle tante morti che si potevano ignorare. Un carpentiere di Galilea crocifisso alla vigilia di una festa nazionale... Se ci fossero stati i giornali, non so credo avrebbe fatto la prima pagina. Forse a Gerusalemme, ma non oltre.

C’è qualcosa di diabolicamete inquietante nell’orrore che ci viene detto di provare. Non per la rabbia e l’indignazione contro i carnefici, e per l’amarezza per i morti. Questi sono sentimenti umani e guai se ce ne liberassimo. Ma quello che personalmente mi disturba è che queste tragedie – o meglio alcune di queste tragedie, le tragedie scelte – vengano usate per farci vivere nella paura. E la paura è un’arma potente, pericolossissima. Uno che ha paura non ragiona: reagisce d’istinto.

La paura è generata dalla morte, e a sua volta genera morte. Per paura i capi del tempio hanno fatto crucifiggere il Nazareno. Per paura Pilato si è lasciato forzare la mano e ha acconsentito alla condanna. Per paura i discepoli hanno tradito il maestro che amavano, per cui avevano lasciato tutti, con cui avevano appena cenato la cena delle cene e da cui si erano lasciati servire e lavare i piedi.

Paura. Se riesci a incutere paura in una persona, puoi costringerla a qualsiasi cosa. E lo stesso vale per i popoli. Paura e ignoranza, e intanto il mondo diventa una piramide sempre più stretta che cerca di elevarsi sempre più alta, una torre di Babele destinata ad una fine dolorosa. Per tutti.
Il mio augurio è che non ci lasciamo vincere dalla paura. Che non permettiamo a nessuno di ragionare al posto nostro, o di dirci cosa dobbiamo desiderare. Che non ci trasformiamo in burattini della paura. Perchè allora sì che saremmo morti, Pinocchi al contrario, che da umani si son lasciati trasformare in disumani.

Che questa Pasqua invece sia un tempo in cui ci aggrappiamo al Vivente. Al Dio che vive e che fa vivere tutte le cose. Allo Spirito vivificatore. Che l’alba della risurrezione vinca nel buio che sentiamo nel cuore, nella confusione, nel dolore nella rabbia.

Che la Pasqua sia tornare a reclamare la nostra umanità, il nostro essere umani, non semplicemente massa.
Buona Pasqua a tutti!



Saturday 19 March 2016

ignoranti senza vergogna



(domenica delle palme)

"Perdonali, o Padre, perchè non sanno quel che fanno"

Vero. Non lo sapevano allora i nostri padri, e non lo sappiamo neppure oggi, dopo 2000 anni.

E non lo vogliamo imparare

Se ancora, con cinismo indifferenza calcolo interesse

crocifiggiamo i nostri fratelli e le nostre sorelle.

Non sappiamo, e non vogliamo imparare



Saturday 12 March 2016

il giudizio più duro

Che chiedano a lui di giudicare una donna adultera non è poi fuoriluogo... in fin dei conti sarà lui a giudicare i vivi e i morti...

Eppure tace.
Solo, con il dito, scrive sulla sabbia
Cosa scrive? Il conto dei peccati della povera donna, in attesa del giudizio? 
Che se lo porti via il vento.

E lui la emette la sua sentenza, ma contro gli accusatori.
E non c'è giudizio più duro e più vero di quello fatto su se stessi.

Se ne vanno. Partendo dagli anziani, che ne hanno viste - e fatte - più degli altri.

Lei rimane, però. Forse in attesa del suo giudizio. Forse pentita. Forse impietrita. Forse offesa che lui non l'abbia difesa con gli artigli fuori.

Ma neppure lui la condanna.
"Va e non peccare più"

Nasce una vita nuova, e nasce dal perdono