Tempo di trepidazione, in Sudan, e per chi se ne sta a guardare dallo spioncino della porta.
Sono al Cairo in attesa del visto per il Sudan, un’attesa che ormai si prolunga da qualche settimana. La mia attesa contribuisce al senso di impotenza e di inutilità che uno prova mentre legge giorno dopo giorno quello che sta succedendo nel Sud Kordofan, una regione esattamente nel cuore del vecchio Sudan, la regione dei Monti Nuba.
Il Sud Sudan si dichiarerà indipendente sabato 9 luglio a mezzogiorno. L’attesa ormai è agli ultimi sgoccioli. È stata un’attesa lunga, e ora l’euforia al Sud si fa sentire. Sarà un grande giorno, un giorno per cui molti si sono battuti e che molti hanno sognato senza mai poter vedere. Ma un giorno che rappresenta un inizio più che una fine. Per il Sud Sudan, per il Nord Sudan, e per chi sta nel mezzo.
Per il Sud Sudan la sfida è quella di costruire un Paese partendo – passatemi l’espressione “da zero”. Con tutto il rispetto per il potenziale umano e sociale del Sud Sudan, rimane pur vero che è un Paese che deve costruire molto. Non solo infrastrutture – un Paese grande come la Francia che ha solo 50 (cinquanta!) km di strade asfaltate –, ma anche e soprattutto una classe di leaders e un senso di unità nazionale. Il rischio è quello di dividersi sulla base delle tribù, e che si inneschi la lotta al potere da parte di ognuna.
Il Nord Sudan ovviamente esce dalla vicenda dell’indipendenza del Sud come uno sconfitto. Alla faccia della Lega Araba, il governo di Khartum è accusato di aver perso un terzo del Paese. In realtà il regime ora rischia di perdere anche molto di più. Se non altro, ha già perso molta della sua (poca) popolarità. E se ci aggiungiamo la primavera della democrazia nei vicini Paesi Arabi…
Il Sud Kordofan (Monti Nuba) è la fetta di Sudan che sta in mezzo al Nord e al Sud. Qui oggi si consumano le tragedie più atroci nei Paesi Arabi. Con tutto il rispetto per i morti in Libia e in Siria, ma – si sa – quando a morire sono i neri nessuno in Occidente sembra scomporsi più di tanto. Come è successo in Ruanda e in Darfur, il massimo che l’Occidente si permette di fare è versare lacrime di coccodrillo e gridare al genocidio. Dopo che si è consumato, ovviamente.
C’erano accordi fra il Nord e il Sud per cui il Sud Kordofan avrebbe dovuto fare un referendum locale per decidere se passare con il Sud o rimanere con il Nord. Il referendum, che si doveva fare in marzo-aprile, non è mai stato fatto. Sono invece state fatte le elezioni amministrative, dove – sorpresa! – ha vinto il partito del governo di Khartum. Risultato: il nuovo governatore del Sud Kordofan è Ahmed Haroun, che insieme ad Al-Bashir, è nella lista dei ricercati della Corte Criminale Internazionale dell’Aia per i crimini contro l’umanità perpetrati in Darfur. È come avere un Milosevic che non solo è a piede libero, ma è ancora un pezzo grosso della politica del suo Paese. Cose dell’altro mondo.
Il 6 giugno il Nord ha cominciato un’operazione militare sui Monti Nuba. I bombardamenti si susseguono quasi quotidianamente. I lavoratori di ONG e altre organizzazioni internazionali parlano di pulizia etnica. Praticamente, si sta ripetendo il copione del Darfur: per far fuori 100 ribelli, vengono uccisi migliaia e migliaia di persone e bruciati i loro villaggi.
Tempo di attesa in Sudan. In entrambi i Sudan.
Attesa dove la speranza si mescola in malo modo con il dolore.
Speranza e paura.