Pasqua
2014
Carissimi amici e amiche di Cogollo, Piovene e
dintorni!!
Un forte
abbraccio dal Cairo. Pasqua arriva. È il
passaggio del
Signore, che entra nelle nostre vite, le tocca, le guarisce. È come l'amico che
viene a svegliarci all'alba perchè abbiamo un lungo viaggio da fare. Ci sveglia
dai nostri sogni, dalle nostre comodità, dal nostro torpore. Con la promessa di
portarci a scalare montagne, e a vivere un cammino nuovo, un cammino che non
era nei nostri sogni – e che proprio per questo è migliore. Sì, perchè la
realtà è migliore della fantasia, se abbiamo il coraggio di viverla
intensamente...Leggere in Egitto la storia di Mosè che fa uscire il popolo eletto dalla terra del faraone è sempre una lettura che provoca qualche sorriso... Noi cristiani ci guardiamo in faccia e ci chiediamo: “E noi, cosa ci facciamo qua?” Per me che attendo – sogno – anzi, mi è stata promessa, la terra del Sudan, l'idea di venire “liberato” dalla terra d'Egitto è ancora più comica. Davvero Dio ha un gran senso dello humor; il problema è che siamo noi che siamo troppo seri...
Ma c'è un
passaggio, che leggiamo nella storia di Mosè, che mi ha accompagnato molto, in
questi ultimi mesi. Mosè fa attraversare il mare, e poi Dio pensa fra sè e sè
di non far prendere al suo popolo “la scorciatoia”. No, pensa di prenderli per
un giro di quarant'anni nel deserto. Quarant'anni. Due generazioni. Perchè la
strada per la terra promessa di per sé è breve, ma ci vogliono quarant'anni per
imparare a desiderarla. Nel nostro mondo moderno del “tutto subito” l'attesa
puzza di sconfitta. E invece Dio – che ha la pazienza del giardiniere – ci
chiede di attendere. Di aspettare che il suo Regno lieviti. Nei nostri cuori e
nella nostra vita. La nostra testa può aspettare.
Dio è un dio
dell'imprevisto. Quante volte i nostri progetti vengono infranti. Per far
spazio ai suoi, che sono un'altra musica. Non dico che sia facile, ma se non
altro è un segno della sua presenza. E quanto è liberante liberarsi dei propri
progetti, dopo averli fatti. Come il bambino che finisce il puzzle e poi lo
smonta per cominciare a farlo di nuovo.Purtroppo qui in Egitto si è voluto fare la primavera araba pensando che bastassero poche settimane, magari qualche mese, occhei, diciamo una manciata di anni per “cambiare il sistema”. La fretta, almeno è quello che vediamo qui in Egitto, è sorella della violenza, del non ascolto, della prepotenza. E dell'ignoranza, vero oppio dei popoli. Con la scusa della “soluzione forte”, ci stanno facendo entrare nel fascismo. E la cosa che più intristisce è che siano i nostri cristiani quelli che più vogliono fare finta di non vedere. Oggi chiamano salvatore chi poco più di un anno fa sparava sulle folle...
Niente di più stupido. “Stolti e tardi nel comprendere la Parola...” dice lo straniero sulla via di Emmaus “... non bisognava aspettare?”. La rivoluzione non la facciamo nelle piazze, ma sui banchi di scuola. Dateci quarant'anni, e la voglia di cambiare. Ma l'uomo moderno no, non può aspettare. L'uomo moderno vuole la rivoluzione subito. Gli serve un capro espiatorio (i fratelli musulmani), per liberarsi della consapevolezza di essere lui stesso parte del problema, e un plotone d'esecuzione. Qualche settimana fa hanno condannato a morte – in una sola sentenza – più di 500 fratelli musulmani. Si può essere più idioti? Quanto odio nascerà da tutto quel sangue?