(inserto Ormegiovani ottobre)
Gv 2,1-12
Giovanni scrive
un vangelo strano, senza parabole (l’unica, quella della donna partoriente, è
così corta da non essere quasi mai ricordata da nessuno) e – tecnicamente parlando
– senza miracoli. Tutto ruota attorno a sette “segni” e ad una manciata di
discorsi che solo il discepolo amato ha avuto modo di sentire e trasmettere.
Il primo di
questi segni, quello dell’acqua cambiata in vino alle nozze di Cana, è imbarazzantemente
fuori dagli stretti schemi del sacro, del religioso e del devoto.
“Tre giorni
dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea”. La scena precedente era
sulle sponde del fiume Giordano, a valle, in Giudea. La narrazione si sposta in
Galilea. I tre giorni di scarto non sono uno stacco narrativo, ma l’incipit
della resurrezione. Giovanni comincia già da ora ad usare i colori della morte
e della resurrezione, che descrivono non solo l’esperienza terrena del Messia, ma
la storia del genere umano. Quello che sta per accadere non è un gioco di
prestigio, ma una resurrezione.
In un primo
momento tutto sembra andar bene, secondo il programma. Lo sposalizio è un
momento di gioia collettiva. Ma ecco che accade l’inaspettato: finisce il vino.
E di tutte le persone presenti, è la madre di Gesù ad esserne informata e ad
passare l’informazione al figlio. Certo non è quella donna dall’aspetto anemico
nel suo distacco dalla vita del mondo, ma invece una donna viva. Del resto, se
è “madre” è perchè è viva.
“Non hanno più
vino”. Con queste quattro parole si potrebbe descrivere la storia umana di
ogni dove e di ogni quando. È la constatazione della morte del cuore prima
ancora che muoia il corpo.Il vino è il simbolo dell’amore, della gioia, di
tutto quello che rende la vita bella e degna di essere vissuta. Il vino è la
dignità, che non ha niente a che fare con l’essere (materialmente) ricchi o
poveri. Nella bibbia non è il lavoro di per sè che nobilita l’uomo, ma la
festa, il settimo giorno, la gioia che sale in scena quando il lavoro è finito.
Il lavoro è il presupposto della gioia, ma la gioia è celebrare la vita.
E invece il mondo
in cui viviamo ci vuole lavoratori senza sosta, produttori senza riposo,
insomma, schiavi. Alcuni con la pancia piena, altri con la pancia vuota, ma
preferibilmente tutti senza sorriso. Perchè una persona contenta consuma poco,
e una persona libera obbedisce ancora meno.
“Che ho da
fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora.” Come nella
risurrezione del Messia di lì a qualche anno, anche qui a Cana è una donna ad
essere prima testimone della vita nuova, la vita in abbondanza. Le donne che
sono protagoniste quando la vita biologica nasce, sono protagoniste anche della
resurrezione.
“Fate quello
che vi dirà”. Sono le stesse parole con cui il faraone affidò il suo popolo
affamato alla sapienza di Giuseppe. Anche qui la madre, invece che imporsi, fa
un passo indietro e diventa discepola. Non è lei ad avere le risposte, non è
lei ad avere le chiavi dei granai del Regno, non è lei la sorgente della Vita
nuova. Lei indica. In un certo senso, queste sono le parole che la madre di
Gesù ha detto e continua a dire a noi tutti, da duemila anni.
“Vi erano sei
giare per la purificazione... Gesù disse ai servi: Riempitele”. Sei giare
per la purificazione, evidentemente vuote. La foto della fallimentarità
dell’autosalvezza umana. Le testimoni di quanto le leggi antiche e le logiche
del buonsenso e dell’etichetta siano inutili. Si è lavata l’umanità, con
l’acqua stagnante delle proprie regole e del proprio senso di giustizia, e si è
trovata ad essere vuota e sporca, dentro e fuori. Gesù non porta la religione
del buonsenso, del politically correct, dell’autoassoluzione ipocrita
dei farisei di ieri e dei devoti signori della guerra di oggi.
Quello che Gesù
porta è la buona notizia, che non è un tweet or una formula magica, ma
seicento litri di vino. Buonissimo. Vino per tutti. Vino di prima qualità. Vino
così buono che nessun somelier aveva mai assaggiato.
E a Cana è già
Pasqua. Una finta vita che si stava soffocando nella sua autoreferenzialità
viene inondata dalla buona notizia del Figlio di Dio.
È giunta l’ora
della nuova vita. San Daniele Comboni ne parlava, dell’ora dell’Africa, l’ora
della rigenerazione. Non è tempo di calcoli e di buonsenso, non è il momento di
fare i conti con il proprio buonismo stantìo e sterile. È l’ora di dar spazio a
lui.
È l’ora di vivere. Fate quello che vi dirà!
Buon cammino Gim
a tutti!
Diego – Khartoum