Tuesday, 29 October 2019

non dei nostri meriti

Un fariseo e un pubblicano salgono al tempio

Il primo a ricordare a Dio la propria bravura,
il secondo a presentargli la propria miseria

Lui non si cura dei nostri meriti
ma delle nostre debolezze

Tuesday, 1 October 2019

è ora di vivere


(inserto Ormegiovani ottobre)


Gv 2,1-12

Giovanni scrive un vangelo strano, senza parabole (l’unica, quella della donna partoriente, è così corta da non essere quasi mai ricordata da nessuno) e – tecnicamente parlando – senza miracoli. Tutto ruota attorno a sette “segni” e ad una manciata di discorsi che solo il discepolo amato ha avuto modo di sentire e trasmettere.
Il primo di questi segni, quello dell’acqua cambiata in vino alle nozze di Cana, è imbarazzantemente fuori dagli stretti schemi del sacro, del religioso e del devoto.

Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea”. La scena precedente era sulle sponde del fiume Giordano, a valle, in Giudea. La narrazione si sposta in Galilea. I tre giorni di scarto non sono uno stacco narrativo, ma l’incipit della resurrezione. Giovanni comincia già da ora ad usare i colori della morte e della resurrezione, che descrivono non solo l’esperienza terrena del Messia, ma la storia del genere umano. Quello che sta per accadere non è un gioco di prestigio, ma una resurrezione.

In un primo momento tutto sembra andar bene, secondo il programma. Lo sposalizio è un momento di gioia collettiva. Ma ecco che accade l’inaspettato: finisce il vino. E di tutte le persone presenti, è la madre di Gesù ad esserne informata e ad passare l’informazione al figlio. Certo non è quella donna dall’aspetto anemico nel suo distacco dalla vita del mondo, ma invece una donna viva. Del resto, se è “madre” è perchè è viva.

Non hanno più vino”. Con queste quattro parole si potrebbe descrivere la storia umana di ogni dove e di ogni quando. È la constatazione della morte del cuore prima ancora che muoia il corpo.Il vino è il simbolo dell’amore, della gioia, di tutto quello che rende la vita bella e degna di essere vissuta. Il vino è la dignità, che non ha niente a che fare con l’essere (materialmente) ricchi o poveri. Nella bibbia non è il lavoro di per sè che nobilita l’uomo, ma la festa, il settimo giorno, la gioia che sale in scena quando il lavoro è finito. Il lavoro è il presupposto della gioia, ma la gioia è celebrare la vita.
E invece il mondo in cui viviamo ci vuole lavoratori senza sosta, produttori senza riposo, insomma, schiavi. Alcuni con la pancia piena, altri con la pancia vuota, ma preferibilmente tutti senza sorriso. Perchè una persona contenta consuma poco, e una persona libera obbedisce ancora meno.  

Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora.” Come nella risurrezione del Messia di lì a qualche anno, anche qui a Cana è una donna ad essere prima testimone della vita nuova, la vita in abbondanza. Le donne che sono protagoniste quando la vita biologica nasce, sono protagoniste anche della resurrezione.



Fate quello che vi dirà”. Sono le stesse parole con cui il faraone affidò il suo popolo affamato alla sapienza di Giuseppe. Anche qui la madre, invece che imporsi, fa un passo indietro e diventa discepola. Non è lei ad avere le risposte, non è lei ad avere le chiavi dei granai del Regno, non è lei la sorgente della Vita nuova. Lei indica. In un certo senso, queste sono le parole che la madre di Gesù ha detto e continua a dire a noi tutti, da duemila anni.

Vi erano sei giare per la purificazione... Gesù disse ai servi: Riempitele”. Sei giare per la purificazione, evidentemente vuote. La foto della fallimentarità dell’autosalvezza umana. Le testimoni di quanto le leggi antiche e le logiche del buonsenso e dell’etichetta siano inutili. Si è lavata l’umanità, con l’acqua stagnante delle proprie regole e del proprio senso di giustizia, e si è trovata ad essere vuota e sporca, dentro e fuori. Gesù non porta la religione del buonsenso, del politically correct, dell’autoassoluzione ipocrita dei farisei di ieri e dei devoti signori della guerra di oggi.
Quello che Gesù porta è la buona notizia, che non è un tweet or una formula magica, ma seicento litri di vino. Buonissimo. Vino per tutti. Vino di prima qualità. Vino così buono che nessun somelier aveva mai assaggiato.

E a Cana è già Pasqua. Una finta vita che si stava soffocando nella sua autoreferenzialità viene inondata dalla buona notizia del Figlio di Dio.
È giunta l’ora della nuova vita. San Daniele Comboni ne parlava, dell’ora dell’Africa, l’ora della rigenerazione. Non è tempo di calcoli e di buonsenso, non è il momento di fare i conti con il proprio buonismo stantìo e sterile. È l’ora di dar spazio a lui. 
È l’ora di vivere. Fate quello che vi dirà!
Buon cammino Gim a tutti!
Diego – Khartoum