(Inserto Ormegiovani di marzo)
Gv 9,1-41
“Con la bocca
benedicono / ma nel loro cuore maledicono”. Così recita il salmo 62, quando
parla dei violenti. Turoldo titolava questo salmo “A pesarli sono aria”. Sembra
parli di loro, quegli stessi farisei di Giovanni, capitolo 9. Professionisti
dell’incartare con le loro belle parole il loro essere marci, piccoli. Insomma,
per dirla con papa Francesco, mafiosi.
Il capitolo in
cui Giovanni narra della guarigione dell’uomo nato cieco sembra quasi un teatrino
dove nessuno sembra vedere e nessuno vuole ascoltare. Il cieco non sa chi lo ha
guarito. I suoi genitori conoscono cosa è successo, ma non parlano, scaricando
su di lui il fardello della verità. I farisei si fanno ripetere la storia della
guarigione, come se non la avessero sentita a sufficienza, provocando il
miracolato a sbottare “volete anche voi diventare suoi discepoli?”. Sembra il
teatrino delle tre proverbiali scimmiette “non vedo”, “non sento” e “non
parlo”.
C’è solo uno
che ascolta. Dio “ascolta” le preghiere di chi gli è timorato e fa la sua
volontà (v. 31). E Gesù “ascolta” che il miracolato è stato scomunicato,
cacciato dalla sinagoga (v. 35).
L’ascolto,
prima che essere la porta della legge di Mosè, è una delle cose che da sempre
hanno caratterizzato Dio (anche perchè lui non ci chiede cose che lui stesso
non sia pronto a fare per primo). Fin dai tempi del roveto ardente, Dio è
quello che vede la miseria degli oppressi, ascolta il loro grido, conosce le
loro sofferenze e scende per liberarli (Es 3,7-8). Non siede sull’Olimpo,
su un trono imbottito di distacco ed indifferenza, ma ci cammina accanto. Ci
conosce per nome.
L’ascolto è il
pronao dell’alleanza, il suo passaggio obbligato. L’ascolto che viene da
entrambi: Dio ascolta il povero che grida, e questi ascolta la sua promessa. Senza
ascolto non c’è storia, non c’è nè Dio, nè umanità, ma solo la pagliacciata del
teatrino dell’arroganza. L’ascolto è madre dell’iniziativa. Chi ascolta ha già
fatto il primo passo.
La tentazione
per chi si dichiara non-fariseo è di dire che i farisei sono cattivi, ma si
tratta di un inganno auto-contradditorio, perchè dividere il mondo fra buoni e
cattivi è già in sè farisaico. Ad essere onesti, i farisei sono poveracci,
gente ridotta ad andare avanti col paraocchi. Sono ciechi. Non lo fanno per
cattiveria, ma si rinchiudono in un piccolo guscio fatto di autogiustificazioni
e dichiarano guerra a tutti quelli che sono fuori. Appena uno venga e provi ad
aprire i loro occhi, o a sbeccare il loro guscio, subito si fanno prendere
dall’isteria collettiva e lo cacciano fuori. Ma questo poco ha a che fare con
la cattiveria, trattandosi soprattutto di un istinto di sopravvivenza.
È quello che
vediamo tutti i giorni qui in Sudan, in quello che è il “dopo” dittatura. Ma da
quando B. è caduto, c’è qualcosa di nuovo che aleggia negli uffici della
burocrazia, qualcosa che ha l’odore del fiele. Lì dove la vecchia guardia ha
tenuto le redini del potere per trent’anni, si sta svolgendo una snervante
lotta per la sopravvivenza. I falchi del vecchio regime non vogliono certo
cedere il posto alle colombe della rivoluzione, che tra l’altro sono ricche di
buoni intenti, ma povere di sfacciataggine (penso a Gesù che ai suoi diceva di
essere semplici come colombe, ma astuti come serpenti... una lezione spesso
ignorata dai giovani della primavera araba, anche qui in Sudan). Un po’ fanno
anche pena, i burocrati del vecchio regime, perchè – anche se conniventi – sono
stati ridotti a servi da un sistema più grande di loro, e non si sono accorti
di essere diventati irrimediabilmente pericolosi, a se stessi e agli altri. E
adesso pagheranno il conto di tutto il tempo in cui sono stati al potere. Senza
riuscire a capirne il perchè. Lo diceva Freire, che l’onere della coscientizzazione
– ovvero la ri-umanizzazione – spetta agli oppressi, non perchè gli oppressori
siano intrinsicamente cattivi, ma piuttosto irrimediabilmente incapaci.
Detta così,
sembra una guerra senza prigionieri, ed in buona parte lo è. Gesù stesso non da
una pacca sulla spalla ai farisei, ma chiude il discorso rincarando la dose
lapidariamente “poichè dite ‘Noi vediamo’, il vostro peccato rimane”. Non ci
sono nè sconti, nè tempi ri recupero.
Per riassumere: sono pochi quelli che ci vedono, perchè vedere e sentire sono arti divine. La
Chiesa li chiama santi: sono quelli che hanno visto quello che i loro
contemporanei non riuscivano a vedere. Un esempio fra tutti, san Daniele
Comboni che nell’Africa del 1800 vide la protagonista della propria
rigenerazione... Non c’è da meravigliarsi che lo abbiano preso per matto. Per
dirlo con un eufemismo, dove tutti vedevano una donna da abusare, lui vedeva
una madre.
Solo Dio e le
persone “divine” riescono a vedere e a sentire. Gli altri recitano un copione
scritto dalla scimmia antica.