Sunday, 1 March 2020

lezioni di cecità


(Inserto Ormegiovani di marzo)
Gv 9,1-41

Con la bocca benedicono / ma nel loro cuore maledicono”. Così recita il salmo 62, quando parla dei violenti. Turoldo titolava questo salmo “A pesarli sono aria”. Sembra parli di loro, quegli stessi farisei di Giovanni, capitolo 9. Professionisti dell’incartare con le loro belle parole il loro essere marci, piccoli. Insomma, per dirla con papa Francesco, mafiosi.
Il capitolo in cui Giovanni narra della guarigione dell’uomo nato cieco sembra quasi un teatrino dove nessuno sembra vedere e nessuno vuole ascoltare. Il cieco non sa chi lo ha guarito. I suoi genitori conoscono cosa è successo, ma non parlano, scaricando su di lui il fardello della verità. I farisei si fanno ripetere la storia della guarigione, come se non la avessero sentita a sufficienza, provocando il miracolato a sbottare “volete anche voi diventare suoi discepoli?”. Sembra il teatrino delle tre proverbiali scimmiette “non vedo”, “non sento” e “non parlo”.

C’è solo uno che ascolta. Dio “ascolta” le preghiere di chi gli è timorato e fa la sua volontà (v. 31). E Gesù “ascolta” che il miracolato è stato scomunicato, cacciato dalla sinagoga (v. 35).
L’ascolto, prima che essere la porta della legge di Mosè, è una delle cose che da sempre hanno caratterizzato Dio (anche perchè lui non ci chiede cose che lui stesso non sia pronto a fare per primo). Fin dai tempi del roveto ardente, Dio è quello che vede la miseria degli oppressi, ascolta il loro grido, conosce le loro sofferenze e scende per liberarli (Es 3,7-8). Non siede sull’Olimpo, su un trono imbottito di distacco ed indifferenza, ma ci cammina accanto. Ci conosce per nome.
L’ascolto è il pronao dell’alleanza, il suo passaggio obbligato. L’ascolto che viene da entrambi: Dio ascolta il povero che grida, e questi ascolta la sua promessa. Senza ascolto non c’è storia, non c’è nè Dio, nè umanità, ma solo la pagliacciata del teatrino dell’arroganza. L’ascolto è madre dell’iniziativa. Chi ascolta ha già fatto il primo passo.

La tentazione per chi si dichiara non-fariseo è di dire che i farisei sono cattivi, ma si tratta di un inganno auto-contradditorio, perchè dividere il mondo fra buoni e cattivi è già in sè farisaico. Ad essere onesti, i farisei sono poveracci, gente ridotta ad andare avanti col paraocchi. Sono ciechi. Non lo fanno per cattiveria, ma si rinchiudono in un piccolo guscio fatto di autogiustificazioni e dichiarano guerra a tutti quelli che sono fuori. Appena uno venga e provi ad aprire i loro occhi, o a sbeccare il loro guscio, subito si fanno prendere dall’isteria collettiva e lo cacciano fuori. Ma questo poco ha a che fare con la cattiveria, trattandosi soprattutto di un istinto di sopravvivenza.

È quello che vediamo tutti i giorni qui in Sudan, in quello che è il “dopo” dittatura. Ma da quando B. è caduto, c’è qualcosa di nuovo che aleggia negli uffici della burocrazia, qualcosa che ha l’odore del fiele. Lì dove la vecchia guardia ha tenuto le redini del potere per trent’anni, si sta svolgendo una snervante lotta per la sopravvivenza. I falchi del vecchio regime non vogliono certo cedere il posto alle colombe della rivoluzione, che tra l’altro sono ricche di buoni intenti, ma povere di sfacciataggine (penso a Gesù che ai suoi diceva di essere semplici come colombe, ma astuti come serpenti... una lezione spesso ignorata dai giovani della primavera araba, anche qui in Sudan). Un po’ fanno anche pena, i burocrati del vecchio regime, perchè – anche se conniventi – sono stati ridotti a servi da un sistema più grande di loro, e non si sono accorti di essere diventati irrimediabilmente pericolosi, a se stessi e agli altri. E adesso pagheranno il conto di tutto il tempo in cui sono stati al potere. Senza riuscire a capirne il perchè. Lo diceva Freire, che l’onere della coscientizzazione – ovvero la ri-umanizzazione – spetta agli oppressi, non perchè gli oppressori siano intrinsicamente cattivi, ma piuttosto irrimediabilmente incapaci.

Detta così, sembra una guerra senza prigionieri, ed in buona parte lo è. Gesù stesso non da una pacca sulla spalla ai farisei, ma chiude il discorso rincarando la dose lapidariamente “poichè dite ‘Noi vediamo’, il vostro peccato rimane”. Non ci sono nè sconti, nè tempi ri recupero.

Per riassumere: sono pochi quelli che ci vedono, perchè vedere e sentire sono arti divine. La Chiesa li chiama santi: sono quelli che hanno visto quello che i loro contemporanei non riuscivano a vedere. Un esempio fra tutti, san Daniele Comboni che nell’Africa del 1800 vide la protagonista della propria rigenerazione... Non c’è da meravigliarsi che lo abbiano preso per matto. Per dirlo con un eufemismo, dove tutti vedevano una donna da abusare, lui vedeva una madre.
Solo Dio e le persone “divine” riescono a vedere e a sentire. Gli altri recitano un copione scritto dalla scimmia antica.