«Così è il regno di Dio: come un uomo che abbia gettato il seme in terra, e poi dorme e veglia, di notte e di giorno, mentre il seme germina e si sviluppa, senza che egli sappia come. La terra da sé produce prima l'erba, poi la spiga e poi nella spiga il grano pieno. Quando, infine, il frutto lo permette, subito si mette mano alla falce, poiché è giunta la mietitura».
Alla fine del capitolo più “agricolo” di Marco troviamo questa bellissima parabola. Gesù ci parla del Regno. Il Regno non è un ordine sociale, né un modo di vivere… anzi, è tutto questo, ma è molto di più. Forse il Regno è il volto dell’uomo nuovo, e allo stesso tempo il volto di Dio… del resto i due si assomigliano da essere l’uno l’immagine dell’altro, come diceva la Genesi.
Caro fratello, cara sorella,
mi trovo ad un momento davvero unico del mio cammino. Non tanto ad un arrivo, quanto ad una tappa. Credo si tratti di uno scollinamento, l’arrivo al gran premio della montagna, se mi permetti il linguaggio da Tour de France…
Dopo anni di cammino e di discernimento, la Chiesa mi ha voluto fare un gran bel regalo: mi ha “ordinato” prete. Cosa significa? Bèh, la risposta completa spero di dartela dopo qualche decennio di ministero; per ora, ci dobbiamo accontentare di qualche pennellata grossa, che fa sì e no da sfondo. Cosa sia il dipinto che ne verrà fuori te lo dirò un’altra volta.
In due parole, la Chiesa mi ha fatto dono di un nuovo nome. Non sto parlando del titolo di “padre” che dal 3 giugno accompagna il mio nome “Diego”… anche perché – fra noi – mi sembra che sia proprio un titolo in più, visto che il Maestro ci ha detto di non chiamare nessuno “padre”…
Il nome che mi è stato dato è un nome non pronunciato. Nella celebrazione del rito di ordinazione, tutto quello che si chiede allo Spirito Santo è di dare “la dignità del sacerdozio”. Trovo queste parole un po’ vaghe, ma devo dire che nel loro essere indefinite sta la loro forza. La Chiesa sceglie di dare ad alcuni il compito di spezzare il pane e di distribuire il vino che sono fatti il corpo e il sangue di Gesù. Solo al prete è dato di ripetere le parole “questo è il mio corpo… questo è il mio sangue”. Compito e responsabilità, perché per cantare il mistero dell’eucaristia bisogna allenare i polmoni dello spirito, e questo richiede un esercizio quotidiano.
Molti in questi giorni mi chiedono perché e come. Ad entrambe non sento di aver risposte da manuale. Forse è proprio questa bella parabola del vangelo che mi suggerisce la risposta: “senza che egli sappia come”.
La vita dello spirito non è come quella animale, che cresce fino ad un certo punto e poi si ferma, ma come quella vegetale: o cresce o muore. Fermarsi è morire.
Così il cammino vocazionale che mi ha portato al sacerdozio è stato il mistero di una scelta fatta quando ero molto giovane. Avevo 18 anni quando sono entrato nel postulato dei Missionari Comboniani. Sì, ero molto giovane. Troppo giovane per sapere cosa mi attendeva – ma del resto si è mai cresciuti abbastanza per poter conoscere i tornanti che ci attendono? Credo che quello fosse il tempo dello stelo, del verde, dell’entusiasmo.
Il cammino mi ha portato a confrontarmi con realtà diverse, a battere il naso contro la mia piccolezza, contro il dolore, e contro la fame e sete di senso nella quale milioni di fratelli e sorelle attendono l’alba del Regno. Sorrisi, risate sguaiate, lacrime e sospiri. Tutto compreso nel pacchetto. Ma che bello!!
Ora sono alla tappa della spiga. La Chiesa mi ha detto che sono spiga. Attendo che il chicco pieno cresca nella mia spiga. Non so cosa mi attende, non so che sapore avrà la spiga, non so quando verrà la mietitura, e come sarà. Ma l’attesa è gustosissima!
Caro fratello, cara sorella, che ti trovi in cammino. Ti auguro di trovare la pace e il coraggio per buttarti. Lo stelo fa il suo cammino in salita nelle mattine fredde della primavera. Non aver paura. Non scoraggiarti se ti senti solo. Godi della fatica, che poi un giorno la guarderai dall’alto della spiga, piena di chicchi. Vedrai che tutto avrà un sapore diverso, anche il fiato pesante degli inizi.
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