Saturday, 2 January 2016

Fatti furbo: scegli la gioia! (Lc 6,20-35)

(Ormegiovani, gennaio 2016)

Poche pagine del vangelo hanno la profondità della pagina delle beatitudini. Poche pagine raccolgono in così poche parole un messaggio che è allo stesso tempo profondissimo ed amplissimo. Profondo perchè penetra l’essenza stessa di Gesù, è come il suo autoritratto, la sua carta d’identità – ed allo stesso tempo è un viaggio nella profondità dell’umano, questo animaletto senza pelo che soffre la fame, il freddo e la paura, eppure è stato coronato del privilegio di essere l’immagine per eccellenza del Creatore dell’universo. Amplissimo, perchè è un messaggio che raggiunge uomini e donne di ogni tempo e spazio, al di là delle appartenenze di confessione, di religione, di lingua, colore, continente. È una proposta per tutti.

Siamo abituati ad immaginare Gesù che proclama le beatitudini con il mento alto e lo sguardo solenne, perso nell’orizzonte. Come se parlasse a se stesso. A dire il vero, ci immaginiamo che Gesù sia sempre così. Come un avvocato perennemente in modalità “arringa finale”. Mi piace pensare – invece – ad un Gesù che a volte sorride, parla sottovoce, magari balbetta anche, quando alla ricerca della parola giusta. E del resto, se gli evangelisti le hanno trascritte con così tanta concordanza, le sue parole, vorrà pur dire che erano state scelte con cura – e avevano colpito chi le ascoltava.

Peggio di così...
La pagine delle beatitudini secondo me non fa eccezione. A volte mi chiedo se Gesù non voglia giocare su una certa ironia popolare. Beato chi è già in fondo, perchè dal fondo non può che risalire... Non fraintendetemi, non parlo di cinismo, ma di sano realismo dei semplici. La vita è una ruota, e chi sta già in fondo ha la consolazione – umanissima – di aspettare il suo turno. E viceversa, a chi oggi se la ride toccherà prima o poi di dover stringere i denti e piangere. Fin qui arrivava la saggezza popolare.

Ma Gesù va ad un livello più profondo. Le Beatitudini di cui parla lui non sono un aspettare passivo che la sorte cambi. La felicità di Gesù non è questione di statistica, o di “destino”. La felicità di Gesù è una scelta. E lo capiamo da quel “voi”. A differenza di Matteo, Luca specifica chiaramente i destinatari delle Beatitudini: i discepoli. Coloro che hanno scelto – o meglio – coloro che ogni giorno scelgono di seguirlo. Loro sono diventati poveri per scelta, ma con la loro povertà arricchiscono il mondo (2Cor 6,10). Loro hanno fame oggi, e saranno saziati nel raccogliere il frutto che già è pronto (Gv 4,34-38). Loro oggi piangono, ma a loro verranno terse le lacrime, come annuncia il salvatore (Ap 21,4). Loro oggi vengono perseguitati, ma il maestro promette loro la vittoria finale (Gv 14,25).

Attaccati a cosa?
La lista dei “guai a voi”, allora, non sembra più un’aggiunta tanto per controbilanciare l’eccessivo ottimismo delle beatitudini. Serve invece a commentarle, a spiegare a chi non ha fatto la sua scelta cosa lo attende. A chi non ha scelto perchè attaccato alle sue sicurezze, il maestro ricorda che queste non durano che un pò di tempo. Tutte – senza eccezione – sono destinate a passare: i soldi, la comodità, il successo, addirittura la buona reputazione. Qualcuno un giorno mi ha detto che nella vita o facciamo delle scelte o facciamo delle fughe. La “non-scelta” è fuga, è chiudersi in un vicolo cieco.
Mentre scrivo queste righe, sento in me la tentazione di scrivere che i poveri ci insegnano la gioia, che chi vive nella miseria materiale è ricco umanamente e spiritualmente. Personalmente, come missionario, mi son sempre guardato da certe riduzioni semplicistiche che continuano a dividere il mondo in buoni e cattivi, dove i materialmente poveri sono i buoni che aiutano noi cosiddetti ricchi del nord del mondo a sentirici in colpa – così da redimerci dopo aver tirato fuori qualcosa di materiale. Dividere il mondo in due non è certo dar ragione alla verità. La verità è che essere materialmente poveri è duro e fa male. E avere la pancia piena piace a tutti. Dice un proverbio sudanese “Il pane è il sogno del povero”.

Le Beatitudini non ci dicono chi sono i buoni e chi i cattivi. Non ci dicono chi siamo, ma ci chiedono chi vogliamo essere. Vogliamo essere attaccati alle cose e diventarne schiavi? Papa Francesco ci ricorda che Gesù non condanna il denaro ma l’attaccamento al denaro, nel nome del quale famiglie si dividono, amici si separano, popoli fratelli si fanno la guerra. Oppure facciamo la scelta di essere liberi. Liberi di farci scomodare da chi bussa alla nostra porta. Liberi di lasciare andare le nostre ragioni, i nostri progetti. Liberi di essere anche malcompresi, se non direttamente offesi e ridicolizzati per le nostre scelte.

A testa alta
Gesù invita i suoi a delle scelte dure, che richiedono tanta determinazione e lucidità. Amare i propri nemici non è cosa da poco, ma è estremamente liberante. Libera me e il mio nemico dalla logica che lui mi voleva imporre. Lui voleva la guerra? E io gli rispondo invitandolo a dialogare. Lui voleva togliermi la dignità di un saluto, voleva picchiarmi? E io gli porgo la guancia in segno di affetto. “Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” altro non è che l’antenato della famosa frase di Ghandi “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Purtroppo di questo tempo i media ci stanno convincendo della necessità della guerra, e allora rispondiamo alle bombe con bombe. Ma questa strada non ci porta lontano. Non è una scelta, ma una fuga. Fuga dalle nostre responsabilità. Abbiamo lasciato che il terrorismo attecchisse sul terreno dell’ignoranza – unico vero oppio dei popoli. E adesso vogliamo far tabula rasa, cancellare tutto, anche i nostri fratelli e sorelle. Come stessimo giocando ad un videogioco. La pace va costruita, anzi, seminata e curata con la pazienza del contadino. Non si impone. O la scegliamo insieme, oppure è un’altra finzione.



A noi oggi la scelta: seminare bombe, sapendo che frutti ne raccoglieremo, oppure cominciare un cammino di libertà? Speriamo di fare la scelta più furba!