(Ormegiovani maggio 2016)
Sembra che Luca
sia l’unico evangelista a parlare di un “lago”. Gli altri evangelisti parlano
sempre del “mare” di Galilea. E in effetti l’antico testamento non conosce due
parole diverse, ma chiama mare entrambi. La cosa è curiosa perchè anche in
arabo i due termini si confondono, soprattutto nell’arabo parlato. Forse è
proprio di chi vive nell’arido Medio-Oriente il non far tanta distinzione fra
la massa di acqua salata e quella d’acqua dolce. Per il popolo di YHWH il mare
è sempre stato un simbolo di morte, di pericolo. Qualcosa di incontrollabile e
misteriosamente forte, nel cui ventre si celano mostri più o meno fantasiosi. Nel
migliore dei casi, il Mar Rosso si rivelò salvezza per il poplo d’Israele, ma
morte per il faraone e il suo esercito. Una salvezza terrificante, piena di
tuoni e lampi, tumultuosa.
Il lago, per noi
comboniani, è invece un luogo che significa casa: abbiamo sempre
in mente il giovane Daniele Comboni che dal Lago di Garda è partito, un giorno,
per un viaggio senza ritorno. Non parlo di quello fisico, perchè da quello è
tornato diverse volte; ma il viaggio della missione, quello sì che non lo ha
fatto tornare più, perchè è stato un viaggio che lo ha cambiato. Il turista
parte per tornare più colto. L’espolartore parte per tornare ‘realizzato’.
L’apostolo parte, ma non torna mai.
Tutto è cominciato con quella notte di fatica in vano. I
pescatori avevano ancora l’amaro in bocca, chissà che commenti si stavano
scambiando, e chissà che sguardi, quando questo novello predicatore si è
presentato a loro con la richiesta di andare al largo... Mi par quasi si
sentire le parole di uno dei pescatori...
“Ma come si permette, questo? Abbiamo faticato tutta
notte, e adesso sul più bello che ci siamo messi a ripulire le reti, e magari
anche a metterci il cuore in pace e a riposare la schiena e le braccia dalla
sfaticata, viene questo e ci dice di scostare la barca, perchè lui deve
parlare? Ma chi si crede?”
Ed effettivamente quante volte sentiamo che il Signore
bussa alla nostra porta proprio quando abbiamo bisogno di riposo. Crediamo di
esserci meritati una pausa, e invece, ecco che incalza una nuova chiamata. La missione
non va in vacanza. Come l’amico inopportuno che ti sveglia di notte...
Ma la generosità dei pescatori sembra aver la meglio, e
così accontentano questo strano personaggio che deve parlare alla gente. Del
resto, se la folla è così tanta da stringersigli attorno di buon mattino e in
riva al lago, evidentemente avrà qualcosa di interessante da dire.
Ed è così che aprono la porta ad un ospite che poi non
avrebbero mai più mandato via. Da quel giorno niente fu più lo stesso, e alla
fine arrivarono a capire di essere loro stessi gli ospiti. Ospiti della loro
stessa vita, fatta di pezze di una vita antica, vecchia, stantia. Una vita di
altri, che stavano subendo. Una vita scritta dai dottori della legge e dalle
tradizioni. Stranieri a se stessi nelle loro stesse abitudini, nel tran tran
del vivere senza alzare la testa al futuro. Come se la loro vita fosse davvero
un mare, ma un mare morto, come quello a sud, quello dove niente vive: un mare
morto in mezzo ad un deserto arido. Quanta sete.
La cosa strana è che quel discorso di Gesù, quel mattino,
non ci è mai stato riportato. Luca non si cura di trascriverlo. Forse i
discepoli stessi non gliel’hanno mai raccontato. Perchè l’importante non è “cosa”
diceva il maestro. Era il come. Il come era il messaggio. Luca ci fa lo stesso
scherzo nella pagina di Emmaus, dove ci dice che ai due discepoli il Risorto
spiega tutto... e questa spiegazione totale viene saltata a piè pari. Il vangelo
fa come Gesù: non ci regala risposte, ma ci tormenta con domande.
Per i pescatori novelli assistenti tecnici di Gesù il
discoro comincia quando per gli altri finisce. “Adesso andate al largo e calate
le reti per la pesca”. Cosa?! Ma questo cosa vuole da noi? Eppure,
straordinariamente, ancora una volta la generosità di Simone vince sul
buonsenso. Che nemico il buonsenso. Con il buonsenso ci costruiamo mura, ci
separiamo, ci difendiamo, fino al giorno in cui ci accorgiamo di aver creato il
nostro stesso ghetto, la nostra prigione, la nostra tomba. Con il buonsenso ci
limitiamo alla nostra “comfort zone”, il nostro orticello, le nostre abitudini.
E poi abbiamo il coraggio di lamentarci che Dio non si fa senitire. Se
chiudiamo occhi e orecchie, come fa lui? Deve buttare giù la porta?
C’è più sapienza nella disarmata semplicità dei pescatori
che nelle sofisticate speculaizioni dei dottori della legge. I poveri ci
insegnano la fede perchè la fede è una cosa semplice: è un affidamento, non una
lista di dogmi. E la sapienza sta nel sapersi affidare, sapersi far condurre,
più che nel pretendere di avere noi stessi in mano il timone della nostra
storia, personale e comunitaria.
E se Simone si fa prendere dall’entusiasmo (nel suo
piccolo, è un romantico, un sognatore, questo burbero pescatore di Cafarnao),
gli altri ubbidiscono solo in nome dell’amicizia. “Se il mio compagno di
pesca dice di si, perchè tirarmi indietro? Facciamo anche questa seconda
sfaticata... al massimo gliela metteremo in conto più tardi, a quel testone di
Simone!” Di nuovo, è la semplicità che vince sul calcolo. E quanto è
importante avere modelli giusti – siano personaggi
famosi o amici – persone che ti fanno fa quello che da solo non avresti mai il
coraggio di fare. Senza di loro, quante occasioni perse!
Vanno i pescatori, con il loro nuovo capo, gettano le
reti, e accade l’impossibile. Sembrano esserci più pesci nelle loro reti di
quanti ne abbiano visti in anni. Cos’è mai tutto questo?
“Simone, immancabile, aggiunge un altro po’ di teatro (non
parla mai normalmente, questo; lui deve sempre uscirsene con una scena delle sue).
“Allontanati da me, che sono peccatore?”. Ma allora si è bevuto il cervello,
Simone! Abbiamo trovato il modo di fare soldi a palate, senza fatica, e lo
manda via? In nome di che?”
Ma non c’è tempo di dare una gomitata a Simone per la sua
– ennesima – gaffe che anche Gesù controbatte con un’uscita non da poco: “non
temere, da oggi sarai pescatore di uomini”. “Come, adesso che abbiamo
imparato a pescare pesci, cambiamo mestiere? No, il sole deve avermi fatto
male, oggi... son troppo stanco, forse sto facendo un sogno, mentre Gesù sta
ancora predicando alla marmaglia...”
“Ed invece no. Tutto vero. Tutto stranamente vero. Mi ci
vorranno anni per scoprilo, ma alla fine l’ho visto. Ho visto che Gesù mi
chiamava ad uscire dallo stretto recinto delle cose che credevo di conoscere.
Mi ha invitato a saltare il muro del mio ghetto. A rischiare. A prendere il
largo. E mi ha mostrato che il successo nel lavoro non era poi quello di cui
abbiamo bisogno. Anzi – a volte – la cosa peggiore che possa succedere ad uno è
che si avverino tutte le sue aspirazioni, perchè quel giorno potrebbe
accorgersi che non ne ha altre. Che non ha altri sogni per cui continuare a
vivere. “Prendi il largo” significa sogna in grande. E sognare in grande non
vuol dire sognare una cosa grande. Vuol dire sognare al di là del
buonsenso, al di là del lecito, del conveniente, del convenzionale.”
A volte ci
chiediamo il segreto di come si faccia a trovare la gioia... ma cosa abbiamo
intenzione di fare, il giorno che fosse la gioia a bussare alla nostra porta?
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