Monday, 1 June 2020

quel pessimo buon pastore

(inserto Ormegiovani Giugno 2020)
Gv 10,7-21

Quando ormai l’establishment religioso ha deciso che i giorni di Gesù sono contati, lui alza il tiro. Proprio nel cortile del tempio che era soprannominato “ovile” perchè rappresentava il gregge di Dio, il suo popolo eletto, Gesù si mette a dire di essere lui “la porta”. Anzi, lui è “il pastore”. E che pastore!
Già aveva dato prova di non seguire i canoni universali della pastorizia quando aveva dichiarato con nonchalance che per lui una sola pecora smarrita va salvata anche a costo di lasciarne 99 nel deserto (qualcuno aveva esclamato beffardamente “auguri!”). Ma ora esagera dicendo che lui, il pastore buono, è pronto a dare la sua stessa vita per le pecore. A fronte del lupo che viene a divoralre.
Ricordo un paio d’anni fa, mentre in classe cercavo di spiegare ai miei studenti di ottava le parole di Gesù “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Quando ho chiesto loro come capissero queste parole, uno mi rispose che è meglio essere quello che da, visto che vuol dire che qualcosa da dare ce l’hai... mentre se sei sempre quello che riceve, allora vuol dire che sei proprio un poveraccio.
La mia prima reazione fu fra il divertito e lo scandalizzato, visto che mi sembrava troppo.... “materialista”.... eppure, a pensarci bene, credo che la pragmaticità dei miei studenti ignoranti fosse più vicina alle parole di Gesù di quanto non lo fosse il mio romanticismo teologico...
Perchè veramente nel dare c’è la gioia della libertà, che chi riceve non si può permettere.
Il pastore non è buono perchè “sorride” in faccia al lupo che grigna i denti. Gesù ci ha insegnato ad amare i nostri nemici, ma non ha mai parlato di sorrisi e occhi tondi.
Lui da la sua vita, e questa vita che ci da diventa in noi una nuova vita.

Mi vengono in mente le parole di Ezechiele Ramin in una delle sue ultime lettere, “la vita è bella e sono contento di donarla”.
E proprio rispolverando queste parole di Ezechiele mi sono imbattuto in un altra sua lettera, datata 12 febbraio 1985

(...) Sto camminando con una fede che crea, come l’inverno, la primavera.
Attorno a me la gente muore (la malaria é cresciuta del 300%) i latifondisti aumentano, i poveri sono umiliati, la polizia uccide i contadini, tutte le riserve indios sono invase. Con l’inverno vado creando primavera.
Giobbe mi suggerisce le parole piú amare “so che il mio vendicatore vive... io lo vedrò nell’ultimo giorno”. I miei occhi con fatica leggono la storia di Dio quaggiú. Come vedi sto andando da Gerusalemme a Gerico e incontro il vangelo. (…)

È fatta di tanti pezzi, questa lettera, se togli la malaria e ci metti il Covid19, fa rabbrividire quanti di questi pezzi siano attuali, dopo tanti anni!
Spero non me ne voglia Ezechiele, se faccio una lectio di queste sue belle parole. Anche perchè, se son belle, vuol dire che sue non sono.

Sto camminando con una fede che crea, come l’inverno, la primavera”. A volte pensiamo alla fede come ad un arrivo, e che le scelte della vita siano per chi ha una fede forte. Invece la fede è un cammino dipinto nei toni dell’inverno. Ma è proprio la sua incompletezza, forse anche la sua miseria, ad aprire lo spazio alla primavera. La fede è inverno, e il regno di Dio è la primavera. Che ti piaccia o meno, questa primavera sta arrivando, non perdere tempo a lagnarti e piangerti addosso perchè non sei tu ad essere il sole. Tu sei desiderio di vita. Tutti noi lo siamo.

Attorno a me la gente muore... i latifondisti aumentano, i poveri sono umiliati, la polizia uccide i contadini, tutte le riserve indios sono invase.” Sembra di leggere il giornale di oggi, di ogni oggi. Ma qui arriva, quasi come un ritornello con un fraseggio squisitamente lusofono “con l’inverno vado creando primavera”. L’inverno che sono io è lo stesso inverno in cui vive il mondo. Perchè ci apparteniamo a vicenda. Io non sono un supereroe che viene da un altro pianeta, ma mi porto l’inverno che questo stesso mondo sta vivendo. Del resto, sono stato creato dalla sua stessa polvere...

I miei occhi con fatica leggono la storia di Dio quaggiù”. Perchè a camminare con Gesù non si capisce mai se siamo noi a leggere la Parola, o lei a leggere noi. E perchè Dio ha cambiato domicilio e vive fra noi – anche se in molti si ostinano a chiamarlo straniero.

Sto andando da Gerusalemme a Gerico e incontro il vangelo”. Qui permettimi di aprire a due letture. Da una parte, sembrerebbe che siamo il buon Samaritano, che trova sulla sua strada l’uomo aggredito dai briganti. Il vangelo allora è aggredito, e noi gli veniamo in soccorso. C’è una profonda identità fra Gesù, la Parola e i poveri. “Ogni volta che avete fatto ciò ad uno di questi miei fratelli...”. Ma ad essere attenti, la parabola di Luca 10 non ci dice che il samaritano scendesse da Gerusalemme a Gerico. Questo ci è detto del malcapitato, che proprio scendendo dalla città santa incappò nei briganti. Allora il vangelo è quello che assale...
Non so come continui la lettera, ma è vero che spesso il vangelo ci assale. Per farci come morire al nostro io vecchio, e farci soccorrere da chi mai e poi mai avremmo pensato ci portasse bene, il buon Samaritano, il buon Pastore.

Chiudo questa riflessione, e invero questo anno di condivisioni con te su questa pagina di Ormegiovani, augurandoti buon cammino. Che il buon Pastore ti trovi, e che tu ti lasci curare dal buon Samaritano. Poi potrai continuare il cammino. Ciao.

Ramin, il comboniano italiano martire fra gli indigeni - CEInews


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