(inserto Ormegiovani Giugno 2020)
Gv 10,7-21
Quando ormai
l’establishment religioso ha deciso che i giorni di Gesù sono contati, lui alza
il tiro. Proprio nel cortile del tempio che era soprannominato “ovile” perchè
rappresentava il gregge di Dio, il suo popolo eletto, Gesù si mette a dire di
essere lui “la porta”. Anzi, lui è “il pastore”. E che pastore!
Già aveva dato
prova di non seguire i canoni universali della pastorizia quando aveva
dichiarato con nonchalance che per lui una sola pecora smarrita va salvata anche
a costo di lasciarne 99 nel deserto (qualcuno aveva esclamato beffardamente
“auguri!”). Ma ora esagera dicendo che lui, il pastore buono, è pronto a dare
la sua stessa vita per le pecore. A fronte del lupo che viene a divoralre.
Ricordo un paio
d’anni fa, mentre in classe cercavo di spiegare ai miei studenti di ottava le
parole di Gesù “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Quando ho chiesto loro
come capissero queste parole, uno mi rispose che è meglio essere quello che da,
visto che vuol dire che qualcosa da dare ce l’hai... mentre se sei sempre
quello che riceve, allora vuol dire che sei proprio un poveraccio.
La mia prima
reazione fu fra il divertito e lo scandalizzato, visto che mi sembrava
troppo.... “materialista”.... eppure, a pensarci bene, credo che la
pragmaticità dei miei studenti ignoranti fosse più vicina alle parole di Gesù
di quanto non lo fosse il mio romanticismo teologico...
Perchè veramente
nel dare c’è la gioia della libertà, che chi riceve non si può permettere.
Il pastore non è
buono perchè “sorride” in faccia al lupo che grigna i denti. Gesù ci ha
insegnato ad amare i nostri nemici, ma non ha mai parlato di sorrisi e occhi
tondi.
Lui da la sua
vita, e questa vita che ci da diventa in noi una nuova vita.
Mi vengono in
mente le parole di Ezechiele Ramin in una delle sue ultime lettere, “la vita è
bella e sono contento di donarla”.
E proprio rispolverando
queste parole di Ezechiele mi sono imbattuto in un altra sua lettera, datata 12
febbraio 1985
(...) Sto camminando con una fede che crea, come
l’inverno, la primavera.
Attorno a me la gente muore (la malaria é
cresciuta del 300%) i latifondisti aumentano, i poveri sono umiliati, la
polizia uccide i contadini, tutte le riserve indios sono invase. Con l’inverno
vado creando primavera.
Giobbe mi suggerisce le parole piú amare “so
che il mio vendicatore vive... io lo vedrò nell’ultimo giorno”. I miei
occhi con fatica leggono la storia di Dio quaggiú. Come vedi sto andando da
Gerusalemme a Gerico e incontro il vangelo. (…)
È fatta di tanti
pezzi, questa lettera, se togli la malaria e ci metti il Covid19, fa
rabbrividire quanti di questi pezzi siano attuali, dopo tanti anni!
Spero non me ne
voglia Ezechiele, se faccio una lectio di queste sue belle parole. Anche
perchè, se son belle, vuol dire che sue non sono.
“Sto
camminando con una fede che crea, come l’inverno, la primavera”. A volte
pensiamo alla fede come ad un arrivo, e che le scelte della vita siano per chi
ha una fede forte. Invece la fede è un cammino dipinto nei toni dell’inverno.
Ma è proprio la sua incompletezza, forse anche la sua miseria, ad aprire lo
spazio alla primavera. La fede è inverno, e il regno di Dio è la primavera. Che
ti piaccia o meno, questa primavera sta arrivando, non perdere tempo a lagnarti
e piangerti addosso perchè non sei tu ad essere il sole. Tu sei desiderio di
vita. Tutti noi lo siamo.
“Attorno a me
la gente muore... i latifondisti aumentano, i poveri sono umiliati, la polizia
uccide i contadini, tutte le riserve indios sono invase.” Sembra di leggere
il giornale di oggi, di ogni oggi. Ma qui arriva, quasi come un ritornello con un
fraseggio squisitamente lusofono “con l’inverno vado creando primavera”.
L’inverno che sono io è lo stesso inverno in cui vive il mondo. Perchè ci
apparteniamo a vicenda. Io non sono un supereroe che viene da un altro pianeta,
ma mi porto l’inverno che questo stesso mondo sta vivendo. Del resto, sono
stato creato dalla sua stessa polvere...
“I miei occhi
con fatica leggono la storia di Dio quaggiù”. Perchè a camminare con Gesù
non si capisce mai se siamo noi a leggere la Parola, o lei a leggere noi. E
perchè Dio ha cambiato domicilio e vive fra noi – anche se in molti si ostinano
a chiamarlo straniero.
“Sto andando
da Gerusalemme a Gerico e incontro il vangelo”. Qui permettimi di aprire a
due letture. Da una parte, sembrerebbe che siamo il buon Samaritano, che trova
sulla sua strada l’uomo aggredito dai briganti. Il vangelo allora è aggredito,
e noi gli veniamo in soccorso. C’è una profonda identità fra Gesù, la Parola e
i poveri. “Ogni volta che avete fatto ciò ad uno di questi miei fratelli...”.
Ma ad essere attenti, la parabola di Luca 10 non ci dice che il samaritano
scendesse da Gerusalemme a Gerico. Questo ci è detto del malcapitato, che
proprio scendendo dalla città santa incappò nei briganti. Allora il vangelo è
quello che assale...
Non so come
continui la lettera, ma è vero che spesso il vangelo ci assale. Per farci come
morire al nostro io vecchio, e farci soccorrere da chi mai e poi mai avremmo
pensato ci portasse bene, il buon Samaritano, il buon Pastore.
Chiudo questa
riflessione, e invero questo anno di condivisioni con te su questa pagina di
Ormegiovani, augurandoti buon cammino. Che il buon Pastore ti trovi, e che tu
ti lasci curare dal buon Samaritano. Poi potrai continuare il cammino. Ciao.