Khartoum, Natale 2016
Carissimi Amici e
Amiche!
Un saluto pieno
di affetto per questa festa di Natale che si avvicina. Per me è il secondo
Natale in terra sudanese, e non riesco a credere che il tempo stia volando così
veloce. Mi sento ancora nuovo, ancora inesperto, e questo Natale arriva come un’appuntamento
importante al quale – per l’ennesima volta – sento di “non essere pronto”.
Ma forse fa parte
della natura del Natale. Non erano pronti i pastori, mezzi addormentati e mezzi
vigilanti. Non era certo pronto Erode, che si è fatto dire da stranieri dov’era
che doveva nascere il Re dei re. Non sono sicuro che fossero pronti neppure
Maria e Giuseppe, due giovani che avevano fatto dei piani nella loro vita, ma
che si erano improvvisamente svegliati per trovarsi nel sogno di Dio.
Forse il natale
non è una festa per chi si sente pronto, per chi si sente padrone del tempo e
della storia. Ma per chi ha l’umiltà e il buon senso di sentirsene ospite. Ospite
di Dio che ci sorprende con il suo piano, che è proprio una cosa fuori di
testa: Dio che si fa uno di noi. Uno di noi.
Da sempre abbiamo
avuto la tentazione di spiegarci perchè e come Dio si sia fatto uno di noi. E con
il righello della ragione abbiamo tirato il confine fra chi crede e chi non
crede (gli “infedeli”). Ma la vita è ben altra cosa che la geometria dei dogmi.
Nelle ultime
settimane qui al Comboni College abbiamo preparato la festa del natale con i
nostri studenti. Per me è stata una lezione di umanità vedere come tanti nostri
studenti di diverse fedi e riti si siano messi insieme per celebrare il Natale.
Cattolici, copti, eritrei, e anche mussulmani, tutti hanno dato del loro meglio
per fare festa a Gesù – che i mussulmani chiamano Isa.
Se le nostre
definizioni di lui ci dividono, ci unisce l’affetto per lui, la stima – enorme da
superare gli oceani e i secoli – per il suo messaggio di perdono, umiltà e
pace. Ci unisce il sentire che gli apparteniamo e che lui ci appartiene. Ci unisce
sentire che la sua festa è la nostra festa. Come nel fare la festa al nostro
fratello maggiore. Lui è fratello nostro, fratello di tutti. E volendo bene a
lui scopriamo di volerci bene l’un l’altro. Il resto, quello che ci divide e ci
fa aver paura l’uno dell’altro, i pregiudizi, le paure, le condanne, i taboo,
sono tutte maschere di cattivo gusto. Ci unisce l’umanità. Quello che mi unisce
al bambino di Betlemme è quella stessa appartenenza che mi unisce allo
sconosciuto, alla persona che mi sta antipatica, al violento e al “cattivo”:
siamo tutti fratelli. E sorelle.
È con questo
sentimento di ammirazione, se non di stupore, che mi accosto al Natale. Forse non
“pronto” a “capire”, ma felice di esserci. E felice che ci siano tanti fratelli
e sorelle di tutti i colori del mondo.
Buon Natale!
Con affetto
Diego
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