(inserto Ormegiovani, Nigrizia Aprile)
Dopo che Gesù si
commuove per la grandezza della fede dei semplici, gli si presenta un dottore
della legge, uno che di semplice ha poco. E gli pone una domanda strana:
“Maestro, cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” La parola
“ereditare” ricorda tanto il famoso giovane ricco che vede la vita eterna come
un’altra proprietà di cui impossessarsi (nel vangelo di Luca, appare in 18,18).
Ed effettivamente, molte volte vorremmo comprarci il paradiso, se non la
misericordia stessa di Dio, con le nostre buone opere. Come se la religione
fosse un mercato. Do ut des. Ti do le mie preghiere, i miei digiuni, le
mie messe domenicali, e tu mi dai il paradiso – preferibilmente la prima rata
me la dai già in questa vita (non si sa mai).
Da questo punto
di vista, non c’è grande distinzione fra cristiani, musulmani, atei o che altro.
L’idea che il bene possa essere comprato, che sia un diritto acquisito o
acquisibile è un’idea molto umana, da antico testamento, e che ci portiamo
dentro tutti. Più che un’idea, forse è una tentazione. Una voce che dovremmo
imparare a sentire e a rigettare.
Gesù non si
scandalizza del materialismo spirituale del sapientone che gli sta di
fronte. Come al suo solito, rilancia con una domanda: “che cosa leggi nella
legge?”. E qui il dottore della legge si dimostra almeno un passo più in avanti
del giovane ricco. Mentre il giovane ricco farà un elenco dei comandamenti,
questo dottore della legge ha trovato il riassunto della legge: i due comandamenti.
Amerai Dio con tutto il tuo cuore (che nell’antropologia del tempo non
significava i sentimenti come per noi, ma le scelte), con tutta la tua anima,
con tutte le tue forze e con tutta la tua mente. E amerai il tuo prossimo con
lo stesso amore che hai per te stesso, ovvero: farai agli altri quello che tu
stesso vorresti che loro ti facessero. Una sintesi stupenda, che merita un
applauso. Altrove nei vangeli è solo Gesù a fare una sintesi tanto breve e
tanto densa. Pertanto non c’è da meravigliarsi se Gesù gli risponde “Fa questo
e vivrai”.
Fai questo e
vivrai. Non ‘erediterai’,
ma vivrai. Da oggi e per sempre, anche se la vita eterna non è una vita “più
lunga”, ma una vita più profonda. Che può cominciare oggi, qui. Anche il libro
della legge lo aveva detto: chi metterà in pratica questi comandi troverà la
vita (Lev 18,5). Il salmo 1 e i profeti avevano pure parlato della legge come
di una sorgente d’acqua. E chi ci vive accanto è come albero piantato sulla
riva del fiume. Quanto fanno bene le regole. Forse ce ne siamo dimenticati, ma
ci fanno bene. Nipoti di un mondo dove le regole erano forse troppe e applicate
con troppo rigore, siamo un po’ allergici alla legge. Ne sentiamo il peso, ma
non ne riconosciamo la forza. Eppure alcune leggi fondamentali sono come il
motore per una macchina: pesanti, sì, ma come andare avanti senza?
Al dottore della
legge, che la teoria l’ha capita tutta, non manca il modo di cercare un cavillo
da cui uscire. Sente di essersi messo in trappola con le sue stesse mani. Ha
quasi l’impressione che questo amore che ha nominato due volte possa chiedergli
cose imbarazzanti, compromettenti. E allora spinge il maniglione sulla porta di
sicurezza, e cerca di uscire dal retro. Chiede: chi è il mio prossimo?
Amare vuol dire
non avere altro in mente che, lasciarsi ossessionare, non darsi pace. È
sconfitta, non vittoria. È essere catturati-espugnati, non far
violenza-possedere. Quando ai parenti di Gesù arriva la voce che il loro figlio
è “fuori di se’”, non arriva solo un pettegolezzo, ma – ironicamente – una
descrizione molto azzeccata del messia. Lui è uno fuori, “in uscita”, per dirlo
con il linguaggio di papa Francesco. È un messia che non ha tempo per guardarsi
nell’ombelico, perchè i suoi occhi sono altrove. In avanti. Con compassione.
Quella compassione
che manca al sacerdote del tempio. Educato e formato ai doveri e alla legge, e
alla necessità della sua purezza rituale, non perde il suo tempo ad essere
umano. No, lui è sopra gli uomini: è mediatore della santità, non può lasciarsi
immischiare in questioni contingenti. Facilmente vediamo in questa figura la
mediocre burocrazia e finta spiritualità di molti preti e religiosi – anche
missionari. E giustamente. Niente di più lontano dalla loro vocazione alla
paternità/maternità spirituale. Ma questo stesso distacco in nome della purezza
è purtroppo ben più diffuso di quanto ci concediamo di credere. Infatti, ogni
volta che puntiamo il dito sugli altri per sentirci superiori, ogni volta che
mettiamo i nostri ideali prima della storia dei nostri fratelli e sorelle,
siamo operatori di una delle forme più gravi di violenza: l’indifferenza.
Peggio dell’indifferenza viene solo il cinismo, perchè se l’indifferenza è
spegnere il cervello, il cinismo è usarlo per mettere la gente sotto il tappeto
del nostro senso di superiorità.
Anche il levita
ha un cuore freddo, che non ha tempo per gli imprevisti. Anche lui preso
dal suo lavoro, schiavo delle mete che lui stesso si è posto. Anche lui non ha
ancora incontrato Dio Padre, ma crede in un dio padrone, e crede anche che le
esigenze rituali del suo ministero vengano prima della misericordia.
“Misericordia io voglio, non sacrificio”, dice uno dei ritornelli profetici più
amati da Gesù. Ma a quanto pare, fa comodo nascondersi sotto la coperta del “ho
fatto il mio dovere”. Il buonsenso è nemico della scandalosa
misericordia di Gesù.
Misericordia
scomoda
Sì, scandalosa
misericordia. Imbarazzante. Chissà con che sentimenti il moribondo si è fatto
aiutare da un samaritano. I samaritani erano al tempo i nemici per eccellenza.
Per i giudei l’unico “samaritano buono” era il samaritano morto. Questioni
tribali, che non sono estranee a noi italiani. Il tribalismo infatti non è una
piaga africana o del sud del mondo. È un sistema di pensare e di agire che abbiamo
tutti, con l’unica differenza che in Europa lo chiamiamo in modo diverso:
regionalismo, razzismo, orgoglio patrio, maschilismo (e anche un certo
femminismo), ecc.
Ma il samaritano
se ne infischia delle regole dell’etichetta. I dettami del buonsenso li lascia
andare e le giustificazioni del suo dovere (avrà avuto anche lui un lavoro da
fare, o vogliamo davvero sempre pensare che gli altri – i diversi – son sempre
in giro a far niente?) non le ha neppure prese in considerazione. Di fronte ha
un uomo moribondo, un sofferente. Questo è quello che conta. Il resto viene
dopo. Il samaritano si lascia sprogrammare perchè ha gli occhi aperti.
Mi piace pensare
che fosse una persona semplice, molto probabilmente analfabeta. Perchè gli
educati e gli elaborati hanno sempre mille modi di tirar fuori scuse per la
loro indifferenza. Invece i semplici rispondono ai problemi in modo semplice.
Vedono uno in difficoltà e lo aiutano. Non fanno clamore, non scrivono
riflessioni sui giornali, non alzano la voce in modo isterico urlando
all’ingiustizia sociale. O almeno, non dopo aver risposto al problema che giace
alla loro porta.
In un mondo in
cui tutto ci dice che possiamo amare solo ciò che conosciamo – ovvero, prima ti
denudi di fronte a me e poi ti concedo il mio facebookiano “Mi piace”, questo
strano personaggio di Samaria (che poi altri non è che Cristo) ci mostra la
verità delle parole di s. Agostino: “conosci solo ciò che ami”. Prima fai il
passo di amare, di servire, di lasciarti compromettere, e poi arriverai a
conoscere, a capire. Se invece decidi di vivere nel freddo castello del tuo
buonsenso, dei tuoi doveri e della tua reputazione, sappi che quel castello si
rimpicciolerà fino a diventare la tua tomba.
Ho letto da
qualche parte tre versi di William Blake:
Ho cercato la mia anima, ma non si è
lasciata vedere
ho cercato il mio Dio, ma lui è misterioso
ho cercato il
mio prossimo, e ho trovato tutti e tre
Chissà che la parabola del buon
samaritano non ci insegni a lasciarci sprogrammare, ad uscire dal nostro guscio.
Allora sarà Pasqua di Resurrezione per tutti noi.
Auguri!
Grazie Diego, è importante questo scritto, è toccante, va in profondità.
ReplyDeleteSimo
Grazie Diego, è importante questo scritto, è toccante, va in profondità.
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